
Il cardinale Scola e il Discorso alla città di Milano
Milano, 7 dicembre 2015 - Domani il Santo Padre a Roma apre la Porta Santa. Anche la nostra Chiesa ambrosiana, consapevole che «la misericordia è il tratto principale del modo di pensare e di agire di Gesù», è pronta a celebrare questo Anno Santo. Con il tradizionale discorso alla Città, in occasione della solennità di Sant’Ambrogio, vorrei riflettere su uno dei temi chiave della pratica del bene comune. Talora percepiamo, sia a livello personale, sia a livello sociale, la tensione tra giustizia e misericordia, che si fa forte di fronte all’esperienza del male, alla necessità di espiare la pena per riparare al danno inferto e alla pratica del perdono. Vi sono inoltre delitti efferati, come i terribili casi di terrorismo, in cui sembra non esserci alcuna possibilità di riparare. Il male, in questo caso, appare come assolutamente irrimediabile. Giustizia e misericordia sarebbero in tal modo in conflitto. E tuttavia dalla correlazione di questi due fattori deriva una serie di conseguenze che incidono in termini decisivi sulla qualità della vita dei singoli e della società civile.
La grandezza dell’io può esigere dal “tu” il dono totale di sé fino al sacrificio della propria vita. Ma questa dedizione assoluta diventa ingiusta non appena si presenta il terzo. In questo caso darsi tutto all’uno significa sacrificare l’altro. Infatti non si può eludere il dramma di fondo connesso con il limite costitutivo dell’umano: tempo, forze, beni sono necessariamente sempre insufficienti e la loro ripartizione secondo giustizia può entrare in forte opposizione col “darsi senza misura”. L’amore sembra qui diventare ingiustizia. Invece l’amore stesso non può rimanere indifferente al terzo. È lo stesso amore a chiedere giustizia.
Eppure il carattere per così dire “manchevole” della giustizia per la vita buona della società fa parte dell’umana esperienza. Non basta concepire l’ordine giusto come meccanica applicazione del principio “suum cuique tribúere” (rendere a ciascuno il suo). Stabilire un ordine di giustizia e aderirvi significa allora che, sulla scena pubblica, il rendere giustizia può essere giustificato solo se genera una crescita per tutta la famiglia umana, che non può limitarsi al benessere materiale e neppure all’ordine pubblico. Se la giustizia ha a che fare con la costruzione di vita buona nella società, si deve riconoscere che, in un contesto sociale plurale come il nostro, è assai difficile reperire un insieme di valori pacificamente condiviso. Questo non significa che non sia possibile una “società giusta”, significa che la strada per realizzarla è più complessa. Occorrerà partire dal bene pratico dell’essere insieme come terreno base per una reciproca narrazione in vista di un comune riconoscimento. Il tema della misericordia possiede affinità con la giustizia, in quanto entrambe hanno come orizzonte le buone relazioni tra gli uomini.
I gesti di misericordia sono azioni che non possono venire ricomprese sotto la categoria di giustizia. Intendono dare inizio a qualcosa di nuovo. Rispondono al dato di fatto, documentato dall’esperienza comune, per cui nell’umana convivenza è spesso necessario assumersi il “rischio” di compiere un passo in più, non deducibile da fattori precedenti. E questo proprio per raggiungere lo scopo di provocare una risposta meglio confacente al bisogno/desiderio di vita buona. MOLTI ormai condividono il dato che il rapporto più originario non è quello di scambio ma quello del dono. In tutti noi, infatti, c’è un’apertura al dono per costruire relazioni personali. Certo il dono attende sempre una risposta, quindi non annulla lo scambio, ma tale risposta si basa sulla libertà, non sulla costrizione di un sistema generale di giustizia. (Il testo integrale in “Misericordia e giustizia nella società plurale”, edizione Centro, Milano).
di ANGELO SCOLA, Arcivescovo di Milano