D.R.
Cronaca

Giuseppina Manzoni, morta in via Armellini: il figlio Dario Rizzi e quella tragica foto simbolo

La donna deceduta nell’incendio della sua casa aveva affrontato la tragica perdita del ragazzo, scomparso nel 1979 per un'overdose. Il dramma immortalato in uno scatto diventato icona dell’odissea della tossicodipendenza

La casa di Giuseppina Manzoni; a destra, la foto che immortalò la morte del figlio Dario (da Spazio '70)

Milano, giovedì 9 novembre 2023 – Chi crede nella vita dopo la morte può dire che Giuseppina, dopo 44 anni passati anche nel ricordo di quel figlio portatole via così presto, ha raggiunto in cielo l’amato Dario. 

La vedova morta mercoledì all’ora di pranzo in seguito all’incendio della sua casa di via Armellini, nel quartiere di Affori, nel 1979 aveva vissuto la tragedia più grave che un genitore possa affrontare, la scomparsa di un figlio. Giuseppina Manzoni allora aveva 48 anni. Era sposata con Riccardo Rizzi, l’orafo del quartiere. Erano, quelli, per la Milano di periferia terribili anni di mezzo, una sorta di tremendo passaggio fra l’ubriacatura del terrorismo e il cupo dominio dell’eroina. Una “bianca signora” che avrebbe mietuto decine di vittime.

Il dramma di una generazione

Fra loro anche il figlio di Giuseppina e Riccardo, Dario, appena 16 anni quando fu trovato con una siringa nel braccio nei giardinetti di via Livigno. Morto. Ucciso da una dose “balorda” di eroina. 

La scomparsa di Dario sarebbe potuta essere, nella sua drammaticità, una tragedia come decine di altre, in quel periodo di diffusione massiccia della dipendenza dal “buco”. Un dramma enorme per la famiglia di origine della vittima, un trafiletto sui giornali per tutto il resto della popolazione. Questo se un fotografo non avesse immortalato la benedizione del cadavere di Dario, accasciato sulla panchina, da parte di un sacerdote della vicina chiesa di San Nicola.

Uno scatto che ha la potenza tragica di un quadro – la solitudine nella morte, il gesto pietoso, l’ambiente circostante di una desolazione quasi lunare, la nebbia che fa capolino sullo sfondo – ed è diventato una sorta di icona dell’epoca complicata a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80.

La morte di Dario

Della "cronaca spicciola” del decesso di Dario Rizzi è rimasta traccia in rete, soprattutto sulla pagina web Spazio 70. Qui si racconta degli abiti che il giovane indossava, decisivi nel permettere il suo riconoscimento alla famiglia.

Giubbotto di velluto marrone, maglione grigio, sciarpa e jeans chiari. Si ricorda della testimonianza di un amico, anch’egli schiavo della siringa, che conferma di aver visto Dario mentre “si iniettava la roba”.

E, infine, si ritrovano le parole del papà di Dario, gonfie di un dolore dignitoso. “Abbiamo fatto il possibile, era anche riuscito a smettere”.

Anche nel percorso di perdizione la storia del giovane, che ai genitori quel 29 dicembre del 1979 aveva detto che avrebbe fatto “ritorno a casa per le 10” dopo un giro con gli amici, è uguale (ma diversa nelle sue origini e nei suoi risvolti) a quella di mille altre: la caduta nel vortice, con il tragico salto dalle anfetamine all’eroina, la scoperta e la mano tesa dai genitori, pronti a dedicare ogni energia per provare ad aiutare il figlio, l'apparente uscita dal tunnel, la ricaduta. E infine la scomparsa, consegnata alla storia dei drammi italiani da quella foto divenuta simbolo.