ANDREA GIANNI
Cronaca

Morti sul lavoro, la storia del sopravvissuto Gualtiero Ceccon: “Persi il braccio a 27 anni, da mezzo secolo parlo ai giovani”

Il 12 giugno del ‘74 rimase ferito dallo scoppio della gomma di una gru e vide morire un collega. Da allora in campo per la prevenzione: “Dolore per tragedie evitabili”

A destra, Gualtiero Ceccon

Gualtiero Ceccon 50 anni fa è rimasto vittima di un incidente in fabbrica a Cornaredo

Milano – Gualtiero Ceccon nel 1974 aveva 27 anni, si era appena sposato e aveva trovato un buon impiego nel reparto ricambi e assistenza tecnica di un’impresa a Cornaredo. Il 12 giugno di quell’anno la sua vita è stata sconvolta da un incidente in fabbrica. Lui ha perso il braccio sinistro. Un collega, Moreno Nasuelli, è morto all’età di 20 anni, proprio mentre stava per iniziare la pausa obbligata del servizio militare. Un terzo uomo ha riportato gravissime lesioni. A distanza di mezzo secolo il ricordo torna a quel giorno, per lanciare un messaggio sulla prevenzione dopo l’ennesima tragedia, alla Corioni di Monza, dove ha perso la vita un operaio egiziano di 22 anni. Ceccon è da sempre in campo con l’Anmil, l’Associazione fra mutilati e invalidi del lavoro, e fa attività di volontariato per l’oratorio accompagnando i ragazzi in gite in montagna, durante le quali ha l’occasione di raccontare la sua storia a bambini e adolescenti.

Come si rivolge ai lavoratori di domani?

“Spesso qualcuno, spontaneamente, mi chiede perché abbia un braccio amputato. Racconto quello che è successo nel 1974, e li invito a stare attenti quando inizieranno a lavorare, ad avere la consapevolezza dei pericoli, a non trascurare la formazione perché è in gioco la vita”.

Come è avvenuto, mezzo secolo fa, l’incidente?

“Due operai stavano cambiando le gomme a una gru. Io passavo di lì per andare in ufficio, quando all’improvviso una gomma è scoppiata, è partito un pezzo di cerchione che ha ucciso il collega Moreno Nasuelli e ha staccato il mio braccio sinistro. L’altro operaio, invece, è stato travolto dallo spostamento d’aria. Da quell’istante è il buio, fino a quando mi sono risvegliato all’ospedale di Rho. Tutti i 180 colleghi sono andati a donare il sangue per noi, hanno messo a disposizione la paga equivalente a un giorno di lavoro per sostenere economicamente le nostre famiglie. Una solidarietà che forse oggi non esiste più”.

Come è cambiata, da allora, la sua vita?

“Sono stato seguito dal centro protesi dell’Inail di Budrio, la struttura che in passato si è occupata tra gli altri di Alex Zanardi. Lì sono entrato in contatto con vicende umane terribili, come quella di una ragazza che in un incidente stradale provocato dal marito aveva perso la figlia di due anni ed era rimasta senza una gamba. Il marito, illeso, l’aveva lasciata, e lei era sotto osservazione per il rischio di un suicidio. Sono traumi difficili da superare da soli. Per fortuna mia moglie mi è sempre stata accanto, abbiamo avuto due figlie e una vita normale, abbiamo festeggiato 50 anni di matrimonio. Pur avendo un’invalidità del 72% ho continuato a lavorare. Dopo qualche anno ho cambiato azienda e settore, fino all’età della pensione”.

È trascorso mezzo secolo e si continua a morire sul lavoro per carenza di sicurezza, incapacità nel prevenire errori umani, falle nella formazione e altri fattori.

“Ogni giorno assistiamo, impotenti, a tragedie. Se sono stati fatti passi avanti a livello tecnologico, manca ancora una cultura della sicurezza, soprattutto in settori come l’edilizia o l’agricoltura. Ma non basta fare la lezioncina sulla formazione, senza un vero salto di qualità”.

C’è una consapevolezza del problema, tra i giovani con cui si confronta?

“I giovani sono molto consapevoli dei rischi, non restano indifferenti. La speranza è riposta in loro”.