Milano – Il primo ad arrivare al settimo piano di Palazzo di giustizia, puntuale alle 9.30, davanti alla porta del gip Fabrizio Filice per interrogatorio è stato l’ex super poliziotto Carmine Gallo, 61 anni, “il dottore”, della banda di spionaggio di via Pattali, l’uomo che per quasi 40 anni è stato dall’altra parte, a servire lo Stato. Accompagnato dalla sua avvocata Antonella Augimero si è avvalso della facoltà di non rispondere, in attesa della discovery, cioè in attesa di leggere tutte le carte e anche di conoscere la decisione del Riesame che, su richiesta del pm Francesco De Tommasi, esaminerà l’ipotesi di un inasprimento della pena per lui e per gli altri componenti del gruppo finiti ai domiciliari.
Gallo, passato glorioso in Polizia, si è detto pronto a dimostrare che non c’è stata alcuna infedeltà allo Stato, e si è detto altresì disponibile a collaborare con gli investigatori con cui ha lavorato per anni, essendo fra l’altro uno dei massimi esperti in Italia di criminalità organizzata. A chi gli ha chiesto come si è sentito in questo contrappasso che lo vede in stato di arresto, lui ha risposto semplicemente: “è la vita”. Poi è stato il turno di Samuele Calamucci, l’esperto hacker del movimento di Anonymous, nella carte “Sem” o “l’ingegnere”. Anche lui, difeso dall’avvocata Augimeri si è avvalso della facoltà di non rispondere, è “pronto a chiarire e a collaborare”, ha detto la legale. Nelle dichiarazioni spontanee davanti a Filice, Calamucci ha però precisato che “le esfiltrzioni di cui viene accusata la banda erano fatti impossibili dal punto di vista empirico”.
Interrogatori anche per l’investigatore privato Massimiliano Camponovo, 52 anni, Giulio Cornelli, 38 anni, nelle carte “John Bologna”, Giuliano Schiano, 50 anni, finanziere che faceva gli accessi abusivi alle banche dati, nominato delle carte con l’appellativo di “Londra”, e il poliziotto del commissariato di Rho-Pero, Marco Malerba.
Camponovo, difeso da Roberto Pezzi, ha fatto parziali ammissioni: “Avevo intuito che dietro questa attività c’era una “mano oscura”. A quel punto io sono stato al mio posto, loro chiedevano, io eseguivo senza chiedere. Facevo i dossier con i dati che mi passavano. Ora però – ha detto – sono preoccupato per la mia vita e per quella della mia famiglia”.
Anche il poliziotto Malerba, difeso dall’avvocato Pietro Romano, ha ammesso l’attività illegale. “Sì ho fatto accessi abusivi. Me li chiedeva il mio capo (Gallo, ndr) e io eseguivo, non sono mai riuscito a dire di no e l’ho fatto nel contesto di uno scambio di favori”. Piccoli privilegi, raccomandazioni, un tavolo al ristorante o rimborsi.
La maxi inchiesta sulle cyber-spie che avrebbero condizionato con dossier di dati riservatissimi il mondo dell’economia e della politica, nasce poco più di due anni fa dal pedinamento di una persona legata alla criminalità organizzata. Il pregiudicato, il cui nome è omissato, aveva appuntamento nel centro di Milano, a pochi passi da Palazzo di Giustizia proprio con Carmine Gallo. Per gli inquirenti, con quell’incontro, documentato da foto, Gallo avrebbe mostrato il suo “senso di impunità”. I tabulati, si legge ancora nelle quattromila pagine di informativa, “permettono di ricostruire come nel 2020 Gallo avesse avuto contatti anche con l’utenza telefonica intestata ed in uso a Dell’Utri Marcello”, l’ex senatore, già condannato per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso.
Nel corso della operazione, durante gli arresti, i Ros hanno anche sequestrato 25mila euro a casa di alcuni “clienti” della rete, consapevoli del modo illegale con cui lavorava la banda. Il denaro cash è stato rinvenuto nella disponibilità di Mario Cella, secondo le indagini, “committente” con Leonardo Maria Del Vecchio junior e Marco Talarico dell’attività di dossieraggio e di controllo della allora fidanzata del figlio del fondatore di Luxottica e dei suoi familiari per questioni di eredità. Cella è capo della sicurezza di Del Vecchio junior, mentre Talarico è il gestore del patrimonio dell’imprenditore, anche lui indagato.