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Hans Tuzzi: tra frenesie e placidi ritmi la mia piccola New York è capace di piegare il tempo

Lo scrittore Hans Tuzzi: «Milano, un mondo a sé». La zona preferita è all'Ortica: «In via Cavriana è come se il tempo si fosse fermato alla Milano rurale Fino agli anni Ottanta i pensionati venivano qui a prendere il sole» di Massimiliano Chiavarone

Hans Tuzzi in via Cavriana

Milano, 27 giugno 2015 -  «Milano è un mondo a sé che oscilla tra una modernità sfacciata e il tempo fermo di una cascina». Lo racconta lo scrittore Hans Tuzzi.

Lei gioca in casa perché è milanese e, come scopriremo, Milano alimenta di continuo la sua creatività. In quale zona della città ha emesso il primo vagito? «Nella maternità di via Macedonio Melloni, per poi trascorrere l’infanzia in viale Piceno. Mi sembrava di vivere tra colossi mitici, il Gigante di piazza Grandi e i grossi cavalli che passavano trainando i carri dei Mercati Generali, allora in Largo Marinai d’Italia. Mia nonna spiava l’arrivo dei ronzini per  mandare la cameriera a raccogliere il letame, che rendeva il nostro balcone il più fiorito del viale. Allora il traffico era minimo: passavano solo otto auto al minuto come cronometrò mio fratello».

Quando cominciò a farsi un’idea delle peculiarità di Milano? «In vacanza al mare, a Noli, quando tutti gli altri bambini mi chiedevano notizie di Milano come se fosse stata New York. Anzi qui mi viene in mente un altro aneddoto».

Quale? «Mio padre, che lavorava per una cartiera, una volta portò a casa i rotoli di carta igienica da New York: ce n’era uno con i finti dollari stampati in verde e nero e uno con mazzi di rose rosse. Li mostrai ai compagni di classe, godendomi il loro stupore. Nell’Italia degli anni ‘50 anche quella carta faceva di Milano una finestra aperta sul progresso. Metanopoli era «il futuro». L’America sembrava vicina a questa Milano così vivace, anche se chi partiva da Linate doveva raggiungere a piedi l’aereo, con i parenti che salutavano dalla terrazza. Le navette non erano ancora arrivate».

Cominciò presto a passeggiare per Milano? «Sì, perché i miei genitori lavoravano in centro e spesso li raggiungevo. Cominciai a distinguere moderno e antico, gli ordini architettonici, la stratificazione dei secoli. Lì iniziai a scoprire il carattere delle singole vie. Altera Montenapoleone, riservata via Bigli, senza troppe pretese, almeno allora, via della Spiga. Inquietante l’intrico intorno alla Borsa. Silenziosa come una foresta arturiana la piazza Borromeo».

La via che preferisce? «La via Cavriana, all’Ortica. Qui è come se il tempo si fosse fermato alla Milano rurale. Lungo questa strada sino agli anni ‘80 i pensionati, d’estate, venivano a prendere il sole distesi nei campi di grano dietro la ferrovia: era «l’Africa immaginata» del poeta Luciano Erba. Cavriano era un nucleo agricolo sulla via per Monlué, come testimoniano le cascine quattrocentesche dai portali solenni e incantevoli. Esiste dai tempi del Barbarossa, ma da un secolo la ferrovia lo ha isolato preservandone la natura profonda. Ed è meraviglioso trovare in zona la Cascina Cavriano, la più antica azienda agricola lombarda, la cui attività è certificata sin dal ‘700, poco distante c’è un enorme vivaio e, intorno, il silenzio verde. E poi non dimentico la suggestione dell’Ortica cantata da Jannacci, quartiere della mala milanese quando si chiamava ligéra anche se era meno pericolosa di quella di Porta Cicca e dell’Isola».

Lei da un lato è bibliofilo e studioso della storia del libro, dall’altro scrittore di gialli e creatore del commissario Melis che lavora a Milano. E diciamo anche che il suo nome è Adriano Bon, lo pseudonimo Hans Tuzzi lo ha preso in prestito da un personaggio di Robert Musil. Questa città è stata fonte di ispirazione per le sue scelte? «Sì, perché Milano è una delle pietre miliari dell’editoria, sia quella storica, con biblioteche come la Braidense e l’Ambrosiana, sia quella produttiva. E a Brera nacquero nel 1995 le edizioni Sylvestre Bonnard che pubblicarono i miei primi titoli. Né è un caso che il primo giallo di Melis, «Il Maestro della Testa sfondata», sia ambientato nel mondo del libro antico».

Nel suo ultimo giallo, «La figlia più bella», (Bollati Boringhieri) ambienta le scene tra i campi e le ricche ville forse un po’ pacchiane della Bassa milanese. Un richiamo all’Ortica? «Sì, nel senso che la provincia è un elemento importante. Anche in una città che sta diventando metropoli come Milano».

di Massimiliano Chiavarone

mchiavarone@yahoo.it