Milano, 4 giugno 2024 – Li chiamano leoni da tastiera, i seminatori d’odio che nel migliore dei casi sputano insulti e nei peggiori arrivano a minacce pesanti e alla diffamazione prendendo di mira persone da dietro uno schermo. Sentendosi forti, "perché la percezione è che un reato non sia un reato se commesso sul web. E invece lo è, eccome", spiega Tiziana Liguori, dirigente della Polizia postale di Milano.
La reazione
Una volta scoperti, più che leoni, gli “odiatori“ si rivelano agnellini. "Molti inizialmente negano. Ma quando vengono messi con le spalle al muro mostrando loro le prove raccolte, che non lasciano dubbi sul fatto che determinate frasi provenissero proprio dai loro profili social, dicono di ‘non essersi resi conto’ o di ‘aver semplicemente espresso un’opinione’. Oppure si indignano, come se gli venisse fatto un torto. ‘Proprio io, tra tanti’. Però dopo la prima denuncia, la recidiva è pari a zero tra gli adulti: poi evitano di ricascarci, di perseverare".
E nel caso dei più piccoli? "Quando i messaggi sono scritti da giovanissimi, adolescenti generalmente, il pentimento non si coglie. Anche a posteriori, faticano a rendersi conto di aver causato un danno, a capire che una persona possa stare male per delle loro frasi".
I target
Diventano bersaglio d’odio online personaggi pubblici, politici, artisti, influencer e anche persone comuni. E non c’è un argomento principe: si sparge veleno per le questioni più disparate, per un pensiero non condiviso, per motivi politici, per un corpo “non conforme“, per il colore della pelle o la religione, per la nazionalità o l’orientamento sessuale o anche solo per conformarsi alla massa e non restare fuori dal coro di odiatori. "A volte – continua Liguori – anche per ripicca verso un ex fidanzato o fidanzata. Verso qualcuno che, a detta di chi insulta, gli ha fatto un torto".
Le cifre
Finora, da gennaio a maggio 2024, alla Polizia postale di Milano sono state presentate 43 denunce per diffamazioni e minacce sui social da 23 uomini, 16 donne e 4 minori. Più 2 per antisemitismo. Significa una ogni tre giorni.
Quello dell’antisemitismo è un capitolo a parte, legato al delicato quadro geopolitico attuale e al conflitto israelo-palestinese. C’è da dire che in questo caso le denunce vengono presentate solo in minima parte alla polizia postale, perché gli attacchi hanno come teatro il web solo parzialmente.
L’antisemitismo
I numeri comunque sono cresciuti in un anno, a livello nazionale, come è emerso nelle scorse settimane dal report dell’Oscad, Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori che tiene conto delle segnalazioni ricevute da forze dell’ordine e associazioni: sono 345, tra il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas, e il 1° maggio 2024 (nello stesso periodo dell’anno precedente erano state 82).
In particolare, 41 episodi di “atti criminali“ con alla base un pregiudizio che l’autore nutre nei confronti di particolari gruppi di persone. Altri 175 riguardano “parole d’odio“, che il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa indica in "qualsiasi tipo d’espressione che incita, promuove, diffonde o giustifica violenza, odio o discriminazione contro un individuo o un gruppo di persone" per via di caratteristiche come "colore della pelle, lingua, religione, nazionalità, età, disabilità, orientamento sessuale".
A questi si aggiungono 112 episodi di parole d’odio diffuse sui social e altri 17 che, seppur non raggiungendo la soglia della perseguibilità penale, accrescono un sentimento d’odio verso la comunità bersaglio.
Politica e spettacolo
In cima alle prede degli odiatori ci sono soprattutto politici e personaggi dello spettacolo. "Generalmente – evidenzia la dirigente Liguori – arrivano a sporgere denuncia nel momento in cui le minacce social si estendono alla famiglia o ai figli. Quando on line trovano messaggi come ‘sappiamo dove vanno a scuola’. Se si configura un reato, l’autore, una volta individuato, finisce a processo". C’è un “profilo tipo“ di odiatore? "No. La categoria è piuttosto trasversale, sia a livello culturale e sia a livello socio economico. Tanti hanno tra i 40e i 45 anni, magari sono disoccupati, frustrati, e prendono di mira un influencer perché non lo ritengono ‘meritevole di attenzioni’. Oppure si incattiviscono con i politici di cui non condividono le idee. Sono quelli che, una volta individuati, cercano di difendersi dicendo di aver ‘solo’ espresso un’opinione. Ma c’è differenza tra l’attacco e la libera espressione".
Ci sono anche i piccoli hater "le cui vittime preferite sono i rapper. Quelli che magari non apprezzano più o “rivali“ dei loro favoriti. Anche una volta individuati, non si rendono conto della gravità delle loro azioni. Di quanto possano far male le parole". Anche se sono scritte con una tastiera e finiscono on line, il dolore che possono causare è sempre vero, come l’odio.