LUCA POLLINI
Cronaca

Nella Milano hippie e capellona "sognando l’America e la libertà"

La Summer of Love, 50 anni dopo, raccontata dai protagonisti

Peter Orlowski, Allen Ginsberg e Fernanda Pivano a Milano

Milano, 9 luglio 2017 - "Un mio ricordo della Summer of Love milanese? Una multa per atti osceni in luogo pubblico". Ad autodenunciarsi è Matteo Guarnaccia, artista milanese e storico del costume italiano, che ha contribuito non solo a diffondere ma anche a ridisegnare la percezione della cultura psichedelica in Italia. Guarnaccia si ricorda bene la Milano di quegli anni. "Era un periodo strano, si percepiva che l’aria stava cambiando. Milano - che era la città industriale e operaia per eccellenza - aveva una sorta di enclave, una zona franca: Brera, frequentata da giovani di tutto il mondo in cerca di nuovi percorsi, da artisti, intellettuali, giovani capelloni, semplici nullafacenti, musicisti, scrittori e poeti che componevano le loro opere tra i tavolini dei bar. Il panorama è lo stesso descritto da Umberto Simonetta in Tirar mattina".  Ed è lì che lo spirito della Summer of Love ha trovato terreno fertile, dove era creata una micro-società libera dalla repressione, libera da tutto, da qualsiasi indottrinamento e condizionamento. "Al Bar Giamaica – prosegue Guarnaccia - Mamma Lina (storica titolare che sapeva catalogare le persone con un solo sguardo: «questo è uno che paga, questo pagherà fra 15 giorni, quest’altro estinguerà il suo conto se e quando riuscirà a vendere un quadro o un libro, questo ha fame, vabbè…») ogni giorno sfamava decine e decine di queste persone che non avevano un soldo». Ma appena uscivi da Brera il clima era tutt’altro. Gente che cammina svelta, vestiti di grigio, controlli continui da parte della polizia, sanzioni a raffica dei vigili. «A proposito: la multa la presi al Parco Sempione perché diedi un bacio sulla bocca a una ragazza. Niente di più". E mentre a Roma spiravano i venti della Dolce Vita che portavano le star di Hollywood, a Milano arrivavano gli scrittori della beat generation vicini al movimento hippie. A portarli, la scrittrice Fernanda Pivano. "Nel suo appartamento di Via Manzoni sono passati tutti – ricorda Guarnaccia – Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso: di giorno li accompagnava dagli editori italiani con la speranza di fargli pubblicare le loro opere, mentre alla sera apriva il suo salotto ai giovani della città che potevano incontrare, chiacchierare e fare domande agli scrittori".  Tappa obbligata per creativi e artisti della scena hippie-underground meneghina è stata una bella palazzina liberty in via Bodoni, zona viale Certosa: il quartier generale dell’Equipe 84. "Il cancello era sempre aperto come andava allora negli ambienti “off” » spiega Maurizio Vandelli, cantante e leader del gruppo. È stato una sorta di rifugio per artisti e poeti, perché in quella villetta sono entrati Allen Ginsberg, Keith Richards, Brian Jones, gli attori del Living Theatre. «Ci ha dormito Jimi Hendrix dopo un suo concerto al Piper di Milano - ricorda Vandelli - . Venivano gli amici mandati dagli amici, c’era posto per tutti e, soprattutto, c’era da bere e mangiare per tutti". Ma c’è anche chi in quell’anno ha avuto la fortuna di essere a San Francisco e vivere in diretta la Summer of Love. È Mariagrazia Galli, consulente aziendale nell’area delle risorse umane, che - dopo una laurea in Diritto costituzionale americano - nel 1967 frequenta Berkley per perfezionare l’inglese. «All’epoca - racconta - ero fidanzata con un ricercatore belga. Un giorno mi disse: indossa qualcosa di sportivo che oggi andiamo a un raduno al Golden Gate Park. Era l’Human Be-In. Ricordo che il capo di abbigliamento più sportivo che avevo indossato erano un paio di mocassini di Gucci. Mi sentivo un po’ un pesce fuor d’acqua là in mezzo, e non solo perché calzavo un paio di scarpe griffate». Tra Italia e Usa le distanze erano abissali: «Rimasi colpita dalla quantità di elettrodomestici nelle case – ricorda Mariagrazia Galli - dal fatto che nei negozi si trovassero jeans e pantaloni da donna già confezionati e dai giovani vestiti nei modi più improbabili che passeggiavano per le strade di San Francisco. E pensare che provenivo da una grande città, mica da un paesino di provincia».  Chi non poteva recarsi in California andava in Corso Vittorio Emanuele, più precisamente in Galleria Passerella, dove Elio Fiorucci aveva appena inaugurato il suo nuovo negozio, trasferendosi da via Torino. È lì che s’incontravano i giovani sognatori, ribelli alle convenzioni e in piena sintonia con quel pot-pourri di suggestioni esterofile. Poi l’estate dell’amore si trasformò rapidamente in autunno e l’epoca degli hippie e del loro sogno si chiuse velocemente.  L’anno dopo arrivò il Sessantotto, e fu tutta un’altra storia.