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Negri Ho abitato in Galleria per due anni. Ne ho abitato i densi mattini scolastici, negli ultimi due anni...
Negri
Ho abitato in Galleria per due anni. Ne ho abitato i densi mattini scolastici, negli ultimi due anni di liceo. Proprio lì, sotto il cielo di vetro dei piccioni e delle vaste tavolozze di grigio che solo Milano, allora e mai più, sapeva allestire sopra le nostre naufraghe zucche. Me ne sono sempre vantato tra me e me, con discrezione senz’altro milanese: ho studiato in Galleria e ho visto la luce in fondo al tunnel, forse dalla parte del Duomo, forse dalla parte della Scala o fors’anche dagli sbocchi a latere, verso il Cordusio là in fondo o verso vie raccolte attorno all’ora del panzerotto. Maturando e maturato in Galleria, vuoi mettere?
Uscito per il rotto della cuffia, da poeta e contadino inurbato, senza veruna scienza matematica, ma fervido di belle lettere e compagnia bella. Fui allievo renitente e disperante in fisica e dintorni: l’allora capitano Mario Giuliacci, prima di diventare l’arcinoto tele-meteorologo, tentò invano di inculcarmi le ordinate meraviglie della sua materia. Ma mi capì. Avevo la testa in Galleria, nel teatro del mondo, sull’impiantito ambrosiano: nel vuoto d’aria della volta andavo cogliendo, da zoticone non privo di commozioni, il grande melange della mia città che il caso e la Gondrand del Dna avevano allestito per me. Basta un elenco sommario, incompleto: la brusca giardiniera della farcitura dei toast; il guano albino dei volatili sotto vetro; il soffritto paleomilanese dei grandi ristoranti; l’odore di santa muffa degli zerbini in lato temporale; lo snaccherare gaio di tacchi snelli e di snelle caviglie di donna, che la vertigine ancora mi si porta via; le porte nere a smeriglio di remoti, compassati uffici; gli occhi pervinca di lei affacciata sulle cornamuse che entravano solenni in parata dietro una cortina di neve e fu amore, accidenti se lo fu; l’aroma di incenso e semente delle librerie; il regime delle nebbie che pencolava dalle guglie del Duomo; il paf! dei lampioni che si accendeva i anche verso mezzodì, in giorni di fioco lume; l’eco siderurgica dei tram e pioggia, pioggia, pioggia e un’idea di Francia proprio alla Paolo Conte. Insomma, mi sono diplomato in Galleria, in Impressionismo Ambrosiano. E, per quello che possa contare per il resto dell’umanità, be’, ne vado fiero.