Milano – I carabinieri l’hanno fermato a due passi dal carcere di Voghera e gli hanno notificato l’ordine di carcerazione reso esecutivo dalla sentenza emessa qualche ora prima dalla Corte di Cassazione. Era lì per costituirsi Giuseppe Fidanzati, 65 anni da compiere il 10 marzo e figlio del defunto boss dell’Arenella-Acquasanta di Palermo Gaetano, arrestato l’ultima volta il 5 dicembre 2009 in via Marghera a Milano e deceduto nel 2013 all’età di 78 anni.
Anche “Ninni“, come diversi altri negli ultimi giorni, è finito in cella a quindici mesi dalla retata della maxi indagine Hydra, fortemente depotenziata dall’ordinanza di custodia cautelare del gip Tommaso Perna che il 25 ottobre 2023 ha accolto “solo” 11 richieste di arresto sulle 153 avanzate dalla Direzione distrettuale antimafia (smontando di fatto l’intero impianto accusatorio). Un anno dopo, però, il Tribunale del Riesame, sollecitato dal procuratore capo Marcello Viola e dal pm della Dda Alessandra Cerreti, ha ribaltato tutto.
Il collegio presieduto dalla giudice Luisa Savoia e completato dalle colleghe Monica Amicone e Caterina Ambrosino ha disposto la custodia cautelare per 41 indagati (sui 79 nel mirino del ricorso dell’Antimafia), avallando l’ipotesi che negli ultimi anni in Lombardia sia stata costituita un’organizzazione a tre teste, una sorta di consorzio in cui i presunti componenti avrebbero portato in dote legami e peso criminale generati dalle rispettive affiliazioni a mafia, camorra e ’ndrangheta. Stando agli accertamenti dei militari del Nucleo investigativo, guidati dal colonnello Antonio Coppola, sarebbe stato proprio “Ninni“ Fidanzati uno dei referenti più autorevoli dell’inedita alleanza, componente di una famiglia “la cui appartenenza a Cosa Nostra è attestata dalle sentenze di condanna passate in giudicato nei confronti di Gaetano e del fratello Stefano, rispettivamente padre e zio di Giuseppe”.
Nel corso delle indagini, i segugi dell’Arma hanno ricostruito ventuno summit a cavallo tra 2020 e 2021 tra Dairago, Cinisello Balsamo, Abbiategrasso, Busto Garolfo e Inveruno, convocati di volta in volta per appianare contrasti interni, accordarsi sull’affare dell’ecobonus 110%, pianificare estorsioni o acquisti di partite di droga: in nove occasioni, è stata censita pure la presenza di Fidanzati.
E spesso con lui c’era pure Paolo Aurelio Errante Parrino, 78 anni, considerato il referente al Nord della cosca trapanese legata alla primula rossa Matteo Messina Denaro e indicato quale “uomo d’onore della famiglia di Castelvetrano, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare per la realizzazione degli scopi illeciti dell’associazione”. Stando alle indagini della Dda, “zio Paolo“ avrebbe anche passato al boss dei boss “comunicazioni relative ad argomenti esiziali” mentre era latitante; anche perché Messina Denaro, deceduto nel 2023, avrebbe avuto un interesse diretto “negli ingenti affari finanziari realizzati in Lombardia dal sistema mafioso lombardo”.
Lo stesso destino di Fidanzati era toccato al settantottenne lunedì pomeriggio, quando, dopo due giorni di latitanza, si era presentato all’ospedale Fornaroli di Magenta accompagnato dalla moglie: appena entrato nel centro clinico, i carabinieri lo avevano bloccato. Inizialmente ricoverato in Cardiologia, il giorno dopo i medici avevano dato il via libera al suo trasferimento in carcere, ritenendo le sue condizioni di salute compatibili con la detenzione: da lì era scattato il trasferimento nel penitenziario di Opera.