GIULIANA LORENZO
Cronaca

I 136 anni del mito Donato Pavesi: la marcia, i record e la sfida al Duce

Iniziò con le fotografie dei corridori, poi diventò un campione: a lui è intitolato il Centro federale della pallavolo

A sinistra, un ritratto d’epoca di Donato Pavesi, classe 1888. A destra il del Centro federale di pallavolo di via Lemene, intitolato al corridore originario di San Donato nel 1963

A sinistra, un ritratto d’epoca di Donato Pavesi, classe 1888. A destra il del Centro federale di pallavolo di via Lemene, intitolato al corridore originario di San Donato nel 1963

Milano – Avrebbe compiuto oggi 136 anni Donato Pavesi, figura e personaggio iconico di una Milano che non c’è più. Le sue imprese podistiche, spesso dimenticate, rivivono però al Centro Federale di via Lemene 3, a lui intitolato. Al suo interno è stata posta una statua in bronzo che raffigura l’immagine tipo del marciatore, a cui nel 1963 è stato dedicato l’impianto, oggi fucina di talenti pallavolistici. Pavesi, nato a San Donato nel 1888, ma milanese d’adozione (morì nel capoluogo lombardo a soli 57 anni, nel 1946), non aveva nulla a che fare con il volley. Era una grande patito di fotogtafica, passione che però venne surclassata da quella per la marcia. Leggenda vuole che cadde dalla bici mentre era impegnato a cercare di catturare i movimenti dei marciatori.

Nacque così il colpo di fumine per il mondo dell’atletica e per una distanza oggi impensabile a livello agonistico, ovvero lai 100 chilometri allora organizzata da “Gazzetta dello Sport“. Nella prima edizione, a Milano, arrivò secondo per poi rifarsi nel corso di tutta la carriera. Ne vinse sei collezionando, nel 1924, la miglior prestazione mondiale. La sua avventura nel mondo dello sport inizia con la società “Post Resurgo Libertas“ di Milano: sorprende tutti, portando a casa, fin da subito, buoni risultati nelle gare di mezzofondo. Negli anni la sua popolarità varca i confini italici: vince alcune delle corse considerate delle grandi classiche, come la Manchester-Liverpool, la 20 miglia di Londra a Stanford Bridge, la London-Brighton.

In Italia, invece, partecipa a varie corse che attraversavano Milano e viene chiamato al fronte nel periodo della prima Guerra Mondiale. A causa delle circostanze è costretto ad alternare il servizio militare alle licenze. Rientra definitivamente in gara il 10 marzo 1918, vincendo la “Milano-Lambrate-Milano”di 6 km. Non ha la stessa fortuna ai Giochi Olimpici: non viene selezionato per l’edizione del 1912. Poi, nella 10 km di Anversa 1920, in lotta per una medaglia, viene squalificato per una contestata decisione arbitrale. Quattro anni dopo, a Parigi 1924, dopo essere stato a lungo al comando, arriva solo quarto. Infine, non riesce a competere ad Amsterdam, 1928. La marcia non è ammessa e in segno di protesta, percorre il tragitto Milano - Roma, a piedi, in sei giorni per consegnare una comunicazione dei lavoratori meneghini a Benito Mussolini in occasione del Primo maggio. Non mancano primati e i successi. Tra le affermazioni più grandi il record del mondo, sui 20 chilometri, realizzato all’Arena di Milano, storico impianto, da sempre è stato teatro di grandi imprese sportive.

A “casa“ sua sigla il nuovo record mondiale in 1h37.42. Nonostante non riesca mai a coronare il sogno olimpico, continua a correre e getta la spugna solo il 12 novembre del 1932: non è più performante come nel periodo d’oro e si deve accontentare del 14esimo piazzamento nei 100 km. Dice addio all’agonismo ma non abbandona mai quella che era una sorta di vocazione. Alterna il lavoro come magazziniere in un negozio di rubinetterie a varie corse amatoriali. Il 30 giugno 1946, in una Milano descritta negli annali come afosa, decide di partecipare a una corsa con le vecchie glorie. Dopo pochi chilometri si sente male, viene portato d’urgenza all’ospedale Niguarda dove si spegne dopo aver fatto quello che più amava.