ALESSANDRA ZANARDI
Cronaca

I 90 anni di don Chino, prete degli ultimi: “Accolsi in casa tre eroinomani”

Festa a sorpresa a San Giuliano per Gioachino Pezzoli, una vita dedicata ad aiutare tossicodipendenti e alcolisti: “Aprii la baita nel 1981, oggi i centri di recupero sono 11 e ospitano 400 persone”

Don Chino con l'arcivescovo Mario Delpini

Don Chino con l'arcivescovo Mario Delpini

San Giuliano Milanese (Milano) – Una vita dedicata ad aiutare tossicodipendenti e alcolisti: il prete degli ultimi è arrivato al traguardo dei 90 anni. Festa a sorpresa, tra il calore dei suoi ragazzi ed educatori, per Gioachino Pezzoli – per tutti don Chino –, sacerdote di origine bergamasca trapiantato nel Sud Milano, dove ha fondato Promozione umana, una delle sue numerose comunità di recupero.

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L'inaugurazione di un negozio di una delle comunità di don Chino

Da dove nasce il desiderio di dedicarsi al prossimo?

“Sono il secondo di sei fratelli, i nostri genitori ci hanno insegnato a essere caritatevoli. La nostra era una famiglia umile, dove però non mancava il piatto a tavola per il povero che chiedeva l’elemosina. Mio padre ripeteva sempre una frase evangelica: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare“. Questa traccia di sensibilità è rimasta impressa nella mia mente fin dall’infanzia”.

Quando l’ordinazione a prete?

“Nel 1965. La mia prima destinazione fu il quartiere milanese di Rogoredo. Ai tempi, le persone abbandonate a se stesse erano soprattutto meridionali che arrivavano alla stazione centrale con pochi indumenti e tanta fame. Con alcuni giovani e adulti della parrocchia avevamo organizzato il pronto soccorso, un punto di prima accoglienza. Quei cinque anni a Rogoredo hanno reso il mio cuore attento e sensibile”.

Poi il trasferimento a Poasco, frazione di San Donato.

“Una sera, mentre celebravo la Messa, si è presentato in chiesa Paolo, un tossicomane che ogni giorno s’iniettava in vena l’eroina. Mi chiesi cosa avrei potuto fare per lui. Lo ospitai a casa mia. Nei giorni successivi arrivarono altri due amici di Paolo, anch’essi sballati dalla droga”.

Poi cosa successe?

“Don Luigi, prevosto di San Giuliano Milanese, mi disse che aveva preso in affitto una baita a Castione della Presolana e mi consigliò di portare lì i miei ragazzi. In quella baita sperduta tra i boschi, senza corrente elettrica e con poca acqua potabile, aprii la mia prima comunità, il 13 giugno 1981. Un mese dopo gli ospiti erano già diventati 12, con due giovani che a turno facevano da assistenti. Quando qualcuno scappava, andavo a cercarlo. Non sempre li ritrovavo. Che fatica. Eppure, non mi sono mai scoraggiato. Negli anni successivi aprii altre comunità. Ora i centri di recupero sono 11, con più di 400 ospiti. Credo che tutto sia avvenuto perché il buon Dio non mi ha mai abbandonato”.

Ricorda un episodio in particolare?

“Era il 1985. Avrei voluto comprare una cascina abbandonata nelle campagne pavesi, ma non avevo soldi. Una sera, durante il rosario, chiesi aiuto alla Madonna. Il giorno dopo, nella casella della posta trovai una busta con l’importo necessario ad acquistare il rudere. Ancora. Una mattina del 1988 ricevetti una telefonata da un dirigente dell’Eni che mi offriva in comodato d’uso una tenuta in Sardegna, per ospitare i miei poveri. Andai sull’isola, a vedere, e poco dopo aprii la comunità Maria Madre dei poveri”.

Qual è stato il suo pensiero al compimento dei 90 anni?

“Mi sono chiesto se meritassi gli auguri, i ringraziamenti e la vicinanza di tanti amici. La risposta che mi sono dato? Tutto è grazia. Devo ringraziare Dio che mi ha voluto prete tra i più poveri”.

Oggi le dipendenze sono ancora un problema?

“Sono ancora tantissime le persone dipendenti da alcol e droga. Peccato che di loro non si parli più, o troppo poco”.