Milano - La sentenza del Tar che ha respinto il ricorso di nove aziende sul caso “portabici da auto” non ha riattivato automaticamente la circolare (impugnata) che un anno fa ha stabilito le condizioni di lunghezza, larghezza e altezza dei dispositivi da applicare “a sbalzo” al portellone del bagagliaio o al gancio traino e introdotto la prova post-montaggio in Motorizzazione (con modifica al libretto di circolazione).
Il motivo? Nel gennaio del 2024, sulla base del pronunciamento del Consiglio di Stato che ha concesso ai ricorrenti la sospensiva cautelare in vista del verdetto di merito emesso tre giorni fa, un provvedimento del direttore generale della Motorizzazione civile Pasquale D’Anzi ha messo in stand by le nuove regole.
Quindi, per riportare in vigore la circolare è necessario un ulteriore passo dello stesso Ministero dei Trasporti per cancellare formalmente il precedente atto amministrativo. Fino a quel momento, resta tutto sospeso. Tradotto: in teoria, i portabici bollati come fuorilegge possono continuare a circolare. Inutile aggiungere che la questione non è affatto chiusa e resta spinosa anziché no, anche perché in ballo ci sono interessi economici non di poco conto: basti dire che di apparecchi del genere ne circolano in Italia almeno 250-300mila, con un calcolo per difetto.
“Se la circolare verrà riattivata, ci rivolgeremo al Consiglio di Stato”, anticipa Luigi Pini, consulente legale e responsabile degli aspetti giuridici di Co.Ra. spa, capofila delle imprese che si sono rivolte al Tar. Nel mirino dei ricorrenti è finito anche un passaggio specifico della sentenza raccontata giovedì dal Giorno: “Detti dispositivi non risultano funzionali al trasporto di mezzi strettamente necessari a garantire la libertà di movimento, in quanto gli sci e le biciclette non costituiscono mezzi di circolazione indispensabili per la generalità dei cittadini, né svolgono una funzione ausiliatrice della deambulazione per determinate categorie di soggetti affetti da specifiche patologie motorie”. Per Pini, si tratta di una “motivazione irragionevole”, specie se ci si concentra sugli aspetti “morali e di indirizzo di tutela ambientale” della vicenda.
Detto questo, la malcelata speranza delle ditte del settore è che la soluzione possa essere trovata attraverso un dialogo che in passato non c’è stato. In caso contrario, se ne riparlerà nelle aule di tribunale. Com’è stato finora.