SIMONA BALLATORE
Cronaca

Il bilancio del rettore Franzini: "Un’unica urlata in sei anni. Per Mind. E forse ho sbagliato. Ma Città Studi così è salva"

Il punto a fine mandato: "La storia si è impegnata, il Covid è stata la prova più dura. Mai visto un movimento studentesco così dal 1977. Lascio una Statale aperta e compatta".

Il bilancio del rettore Franzini: "Un’unica urlata in sei anni. Per Mind. E forse ho sbagliato. Ma Città Studi così è salva"

Il punto a fine mandato: "La storia si è impegnata, il Covid è stata la prova più dura. Mai visto un movimento studentesco così dal 1977. Lascio una Statale aperta e compatta".

"La storia si è particolarmente impegnata in questi sei anni. Ci sono mancate solo le cavallette, che in questa estate torrida è meglio non evocare. Anche perché mancano ancora 54 giorni, anzi 53, per chi ci legge". Il rettore Elio Franzini, professore di estetica, si avvicina “con filosofia“ alla fine del suo mandato: dal primo ottobre lascerà il timone della Statale, la più grande università lombarda, nelle mani della rettrice Marina Brambilla.

Quali saranno gli ultimi atti?

"Ci sarà da seguire una complessa ripresa, da capire il destino dell’università dopo le ultime questioni sollevate a luglio sui fondi di finanziamento agli atenei. Giusto interrogarsi sui piani straordinari delle assunzioni, sul post Pnrr. E all’ordinaria amministrazione si aggiungono i cantieri da seguire tra Mind e il centro sportivo Saini".

E Città Studi?

"Non ci siamo fermati anche se sarà un’operazione che partirà dopo il trasferimento a Mind, nel 2027. A luglio ci siamo incontrati con Regione e Comune, ci rivedremo a settembre. C’è un masterplan da costruire".

Dal primo ottobre che farà?

"Grazie al cielo in questi sei anni non ho mai smesso di insegnare. Il nostro mestiere è un altro: siamo rettori in quanto professori. Intensificherò il mio impegno didattico. E riuscirò a riscoprire il piacere di avere ritmi meno intensi e stressanti. È davvero successo di tutto. Quello che dico sempre alla mia successora è che l’ordinaria amministrazione le occuperà gran parte del lavoro, ma la capacità decisionale e di sapersi collegare con i colleghi e il territorio entrano in gioco soprattutto nella dimensione emergenziale".

Qual è stata la prova più dura?

"Per l’università, senza dubbio il Covid: ha segnato la vita di generazioni, è stato improvviso, ci ha costretto a rigenerare la didattica. La seconda per la Statale è stata la lunga questione del campus a Mind, con tutta la difficoltà e il disagio nel reperire i finanziamenti. Solo in una dimensione storica si potrà capire, ma ho dato il massimo. Tra Covid e campus ci siamo presi i risultati di due conflitti: uno ha comportato una crisi umanitaria ed energetica, l’altro continua a portare con sé una forte crisi di carattere politico che, con questa intensità, l’università non vedeva più dal 1977".

C’è stato un risveglio del movimento studentesco, con le “acampade“ pro Palestina.

"Dei fuochi fatui c’erano stati in questi anni, ma non un movimento così organizzato o così intenso nella sua disorganizzazione. Un ritorno al passato con nuove forme inaspettate".

Cosa lascerà?

"A mio parere non finirà, continuerà finché ci saranno i disagi internazionali e potrebbe saldarsi con altre questioni aperte: il diritto allo studio e la questione abitativa, che abbiamo già visto emergere lo scorso anno, ma ci saranno altre potenziali proteste e dissenso".

Che l’università deve sapere gestire. Come?

"L’università deve essere davvero un ponte e una porta, un luogo di attraversamento. Deve sempre dialogare. E per quanto riguarda le situazioni abitative deve trovare nuovi spazi, considerando che però, in questa faccenda, è parte in causa".

C’è anche il nodo degli atenei telematici da sciogliere...

"Sì, soprattutto a livello nazionale. Ma credo che, al di là degli aspetti giuridici, sia un fenomeno da studiare. Non mi sono piaciuti mai toni troppo violenti e contrapposizioni. Con il nostro osservatorio Mheo stiamo proprio studiando: non possiamo lamentarci che il numero dei laureati sia basso senza far nulla, dobbiamo inserire elementi innovativi. Abbiamo appena ricevuto un finanziamento Pnrr da 820mila euro per implementare gli insegnamenti digitali nelle università tradizionali, facciamo parte di un consorzio guidato dall’università di Modena".

Non si rischia di rincorrere le piattaforme, abbassando l’asticella?

"No, dobbiamo mantenere la nostra asticella ben alta, ma aumentare il numero dei laureati".

Dopo di lei la Statale avrà la prima rettrice in 100 anni di storia. E in Lombardia si è raggiunta la parità: sette rettori e sette rettrici. Come legge questo dato?

"Dimostra che la Lombardia è sempre avanti. Sono contento anche per la nostra ex alunna, Valentina Garavaglia, alla Iulm. Come per tutte e sette. Non sono state scelte in quanto donne, ma in quanto brave. Di valore. Tutte meritavano di essere elette, non per moda o per un sistema imitativo. I loro nomi sono emersi in modo naturale, non sono usciti dal cilindro: avevano già ruoli molto operativi".

Arrivato a fine mandato, ha un rimpianto?

"Un’infinità di piccoli rimpianti, per come sono fatto, cose che avrei detto diversamente, ma nessun grande rimpianto. So che ci sono problemi aperti, a cominciare dal rapporto tra la sanità privata e l’università, dal reclutamento...".

Sui quali ci sono anche vicende giudiziarie in corso.

"Ma sono sereno anche su quelle. Ho fatto il mio dovere, aspetto il giudizio".

Che università lascia?

"Un ateneo unito: essere riuscito a ricompattarlo è il mio orgoglio più grande. Ringrazio per le forme di collaborazione autentiche che ho ricevuto da tutti, dai colleghi, dal personale, dagli studenti. Sa che in sei anni ho alzato la voce solo una volta?".

Quando?

"Con i colleghi, in relazione a Mind, ovviamente, e non so neanche se avevo ragione io".

È un progetto che poi ha fatto suo, però.

"Ma molto diverso da quello delle origini. Perché comprende il mantenimento e la riqualificazione didattica e scientifica di Città Studi".