BRUNO
Cronaca

Il capitalismo familiare torni a essere protagonista dell’economia

Villois era una volta un grande capitalismo italiano che investiva in imprese italiane e le rendeva internazionali, aprendo siti produttivi...

Villois era una volta un grande capitalismo italiano che investiva in imprese italiane e le rendeva internazionali, aprendo siti produttivi...

Villois era una volta un grande capitalismo italiano che investiva in imprese italiane e le rendeva internazionali, aprendo siti produttivi...

Villoisera una volta un grande capitalismo italiano che investiva in imprese italiane e le rendeva internazionali, aprendo siti produttivi in ogni dove, ma la maggioranza delle produzioni, a cominciare dalla Fiat, erano in Italia e la grande banca Commerciale Italiana possedeva decine di sedi anche nei Paesi sotto dominio russo e fu con la stessa Fiat uno dei primi gruppi ad aprire nella Cina di Mao. Molte decine di altri grandi gruppi a capitale italiano seguivano le orme dei due citati e non solo di loro ma anche di Eni, la quale, per fortuna, ancor oggi veleggia in buona parte del Globo. Poi la Fiat iniziò un declino e Comit ebbe un analogo rallentamento finendo in mani estere, per poi sposarsi con San Paolo. Il meno 8% della produzione industriale dell’anno scorso, contro il meno del 5% di quella tedesca, fa emergere quanto le imprese industriali italiane, in grande misura di piccole e micro dimensioni, siano sempre solo più inserite in filiere ai cui vertici ci sono quasi sempre gruppi esteri che non hanno neppure rappresentanza in Italia o se ce l’anno non ha poteri decisionali. L’esempio tedesco, verso il quale le nostre filiere hanno il più importante sbocco, fa capire come la Germania abbia un Pil a zero e noi a +0.5, ma la loro produzione industriale sia meno rallentata della nostra. A rendere migliore il nostro Pil ci ha pensato il boom turistico estero che ha inciso sui consumi, servizi e occupazione ben più della manifattura. Milano è stata, ed è tuttora, la cassaforte del capitalismo italiano, fino a fine secolo scorso lo era insieme a Torino, il cui ruolo negli ultimi venti anni è quello di non pervenuto: è sostanziale che questo capitalismo familiare, che ha anche abbandonato le proprietà delle più blasonate squadre calcistiche italiane, si riappropri di vertici di imprese nostrane e ne sollevi le sorti da componente di filiera a committente di filiere. Solo così si potrà riportare la manifattura italiana a essere protagonista internazionale.