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Il caso Giulia Tramontano: "Delitto premeditato per quasi sei mesi"

di Anna Giorgi MILANO Un omicidio "crudele e premeditato": da almeno sei mesi, per i giudici che lo hanno condannato all’ergastolo, Alessandro...

di Anna Giorgi MILANO Un omicidio "crudele e premeditato": da almeno sei mesi, per i giudici che lo hanno condannato all’ergastolo, Alessandro...

di Anna Giorgi MILANO Un omicidio "crudele e premeditato": da almeno sei mesi, per i giudici che lo hanno condannato all’ergastolo, Alessandro...

di Anna GiorgiMILANOUn omicidio "crudele e premeditato": da almeno sei mesi, per i giudici che lo hanno condannato all’ergastolo, Alessandro Impagnatiello metteva in atto il piano di uccidere la compagna Giulia Tramontano, incinta di suo figlio Thiago.

C’è addirittura un data precisa in cui i giudici della Corte d’Assise, nelle carte della motivazione di condanna alla pena massima, fanno risalire la messa in pratica del pensiero scellerato. È il 12 dicembre del 2022 quando Impagnatiello digita sul web "veleno per topi" e di lì a poco comincia ad avvelenare la sua compagna, sperando che morisse innanzitutto Thiago, il bimbo che portava in grembo da qualche settimana. "Da quel momento non ha più abbandonato quel proposito criminoso; anzi – si legge ancora nelle motivazioni – lo ha fatto crescere e maturare dentro di sé, mentre in via parallela e speculare si intensificava e si consolidava la relazione segreta con un’altra donna". È la scelta di portare avanti la gravidanza che segna la condanna a morte della Tramontano: "Se Giulia avesse abortito volontariamente o spontaneamente, per via del veleno, si sarebbe salvata", scrive ancora la Corte, giudice Antonella Bertoja, a latere Sofia Fioretta. Invece, la giovane e bella Giulia morirà il 27 maggio accoltellata 37 volte, undici delle quali inferte quando era ancora viva. Ad armare la mano del barman la "ferita narcisistica" causata dal crollo del castello di bugie che aveva costruito per tenere in piedi due relazioni parallele.

Quando Giulia ha incontrato davanti all’Armani Caffè l’amante del suo compagno, e tutto le è stato chiaro, Impagnatiello si è sentito sconfitto e beffato dai colleghi di cui era diventato "lo zimbello".

Così ha impresso l’accelerata al piano subdolo di lento avvelenamento, ha atteso il rientro della compagna nell’appartamento di Senago, ha tolto il tappeto e ha coperto il divano, poi l’ha accoltellata a morte e ha tentato di bruciare il cadavere nella vasca da bagno. Lei però – dirà lui in Assise – "non bruciava proprio come un fazzoletto di carta", così l’ha caricata nel bagagliaio dell’auto, l’ha lasciata lì mentre cenava dalla madre per poi sbarazzarsi del corpo a poche centinaia di metri dal garage.

Il barman anche dopo quell’omicidio orrendo ha continuando in aula, in modo grossolano e contraddittorio a ridimensionare la sua responsabilità. A fingersi pazzo e, infine, pentito.