NICOLA PALMA
Cronaca

Risolto dopo 32 anni l’omicidio di Fausto Borgioli. L’uomo dei parcheggi del Meazza “confessa”: “Ancora mi ribalto nel letto...”

Giuseppe Caminiti è accusato dell’uccisione del narcos legato alla banda di Francis Turatello, avvenuta la sera del 19 ottobre 1992. È lui a dirlo al suo datore di lavoro: "Perché l’ho fatto? Era un confidente della polizia"

Giuseppe Caminiti, nel riquadro, avrebbe gestito il business dei parcheggi

Milano – "Poi ti spiegherò... ti spiegherò la storia di sta via qua un giorno... eh questa via c’ha una storia mica... eh questa c’ha una storia importante, fratello". 20 luglio 2020, Giuseppe Caminiti e l’imprenditore Gherardo Zaccagni passano casualmente in macchina in via Montegani: quell’indirizzo evoca un immediato ricordo nella testa del cinquantatreenne nativo di Taurianova. La sua mente torna subito al 19 ottobre 1992. Cosa accadde quel giorno? Fu assassinato a colpi di pistola il narcos Fausto Borgioli, storicamente legato negli anni Ottanta alla banda di Francis Turatello e Marietto Argento. Un delitto rimasto irrisolto per 32 anni. Ora è arrivata la svolta. Ed è stato Caminiti, finito in manette lunedì nell’inchiesta sulle curve della Dda, ad autoaccusarsi dell’omicidio, parlandone con Zaccagni, il suo "datore di lavoro" nell’affare dei parcheggi dello stadio Meazza.

Il cold case risolto dopo 32 anni. Incastrato l’uomo dei parcheggi: "Ancora mi ribalto nel letto..."
La notizia sui giornali dell'epoca

Quelle parole, captate dagli investigatori della Guardia di finanza nell’ambito degli accertamenti sui business illeciti degli ultrà, hanno dato finalmente riscontro a quelle pronunciate qualche anno dopo l’assassinio da un collaboratore di giustizia, che nelle sue confessioni sul gruppo criminale che faceva capo a Salvatore Papandrea e Giuseppe Calabrò aveva inserito pure la risoluzione del cold case.

Ieri le Fiamme gialle hanno notificato in carcere a Caminiti l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Domenico Santoro che lo indica come esecutore materiale del delitto, avvenuto in realtà in via Strozzi e non in via Montegani (dove la vittima abitava al civico 10). La ricostruzione del raid letale ci riporta indietro di più di tre decenni. Ore 22.30, zona Bande Nere. Alcuni residenti sentono tre-quattro colpi in strada: partono le chiamate al 118, c’è una persona ferita. La prima a soccorrere l’uomo colpito dai proiettili è un’infermiera che abita lì vicino, ma per Borgioli, che tutti chiamavano Fabrizio, non ci sarà nulla da fare: morirà mezz’ora dopo il ricovero d’urgenza all’ospedale San Carlo. Le indagini della Squadra mobile imboccano subito la pista del regolamento di conti per un debito legato alla droga, visto che era proprio quello il core business di Fabrizio: nel 1978, quando sulla sua testa pendevano già quattro mandati di cattura, era stato ammanettato con più di un etto di cocaina; e nel 1985 era finito nuovamente dietro le sbarre per stupefacenti.

Tuttavia, gli accertamenti investigativi portano a escludere quell’ipotesi: la posizione dell’unico indagato viene archiviata il 23 dicembre 1993. Nel 1995 arrivano le dichiarazioni del pentito Giorgio Tocci, "già noto killer ed ex appartenente alle forze di polizia", che si concentra sul gruppo Papandrea-Calabrò di cui aveva fatto parte e identifica Caminiti come l’esecutore materiale dell’omicidio Borgioli. Le sentenze sulle frasi di Tocci ne testimoniano la credibilità, ma sul delitto mancano "elementi esterni di riscontro alla chiamata in reità". Così arriva l’archiviazione.

Quattro anni fa, però, è proprio il presunto assassino a riaccendere i riflettori sul caso, svelando cosa aveva fatto nel 1992 a Zaccagni, quando di anni non ne aveva ancora compiuti 24. Dopo i primi riferimenti criptici del 20 luglio 2020, la confessione arriva il 27 gennaio 2021: "Per me è stata una delle mie peggiori... della mia vita...", inizia Caminiti. E l’altro gli chiede: "Non ti pagavano? Avevano preso la roba che non pagavano?". A quel punto, il cinquantatreenne dà il movente: "Hanno fatto un po’... chi i confidenti di polizia". Poi Caminiti confessa: "Ogni tanto... mi ribalto nel letto... sono entrato in chiesa l’altro giorno... però non lo so come mai... e pure io... è una cosa che non riesco ancora... a mandare giù". Per il giudice, "le frasi pronunciate da Caminiti alla presenza di Zaccagni sono frasi del tutto spontanee, in alcun modo provocate, sgorgate quasi dall’animo dell’indagato che, sul fatto narrato, ammette di essersi sempre interrogato, palesando anche un certo disagio interiore". Non siamo, dunque, "al cospetto di una millanteria del Caminiti".