Negri ronto? Non sei stufo di sconfinare e di rubarmi i servizi? Cosa dici? Che c’è un problema? Il problema sei tu. Senti, non si può andare avanti così... dobbiamo parlare. Vediamoci... vieni su tu da me, tanto ci sei abituato". Dura la vita del corrispondente di provincia. Oggi come ieri. Ma negli anni dell’era analogica – risorse operative: telefoni fissi, scarpe e faccia di palta – lo era forse ancora di più. Ne so qualcosa: ci sono passato anch’io, da sbarbato. Poi, credo per sfinimento, il Giorno mi assunse, aprendomi la strada per nuove mirabolanti avventure nel giornalismo professionista. Esagero col mirabolante? Va bene, esagero. Però gli anni di noviziato me li ricordo bene. Così come i colleghi in pista nel seminesplorato ducato di Milano. Solidarietà molta, rivalità di più. Specie tra quelli di uno stesso giornale: si difendevano i territori di competenza con la metodica ferocia. Ecco, per quanto pacifista, ero entrato in conflitto con l’allora potentissimo corrispondente della Brianza per due innocue notizie di cronaca bianca pescate qualche filo d’erba più a nord della Martesana. Da qui la convocazione perentoria in territorio ostile, nella tana del collega. Che era un albergo vecchiotto. Il collega, a metà di un corridoio, mi aveva di fatto bloccato in una nicchia, parlandomi in tono più che concitato a mezzo centimetro dalla faccia. Pareva febbricitante: "Le cose vanno male... mia moglie non mi vuole più in casa... vivo qui da due mesi... e adesso ti ci metti anche tu a soffiarmi le notizie, a rubarmi il lavoro. Ma lo sai, eh, lo sai che forse ho la Tbc?". Orrore: all’ultima lettera gli era partito uno sputo nebulizzato che mi investì come una mareggiata. Mi divincolai, scappai da quell’albergo, dall’untore. Possibile che il collega fosse così perfido e vendicativo da trasmettermi via spray la sua presunta tubercolosi? Comunque lui da quel giorno non si fece più sentire. E io? Spiacente deludervi: nemmeno un raffreddore.
CronacaIl collega untore e la guerra dei territori