
Il blitz di Bandeh nelle immagini riprese dalle telecamere della villetta. La ricostruzione piena di lacune: "Mi ricordo la pianta a terra, non lui".
Ore 8.06 e 38 secondi della domenica di Pasqua. La telecamera a presidio del cancello della villetta liberty di via Randaccio 8 riprende un uomo che scende le scale che portano all’ingresso, salvo poi risalire alle 8.18 per dirigersi verso il portone principale. Pochi istanti dopo, quella persona sparisce dalla visuale dell’occhio elettronico, per poi ricomparire alle 8.30. Passeranno altri otto minuti prima che l’intruso decida di scavalcare il muro di cinta alto circa due metri, dopo aver quindi trascorso tre quarti d’ora ad aggirarsi attorno alla casa d’angolo con via Massena "cercando possibili vie d’accesso". Due minuti dopo, alle 8.40, il sessantunenne filippino Angelito Acob Manansala, domestico degli affittuari in vacanza a Tenerife da nove giorni, esce per una passeggiata con uno dei cani di famiglia. Rientrerà undici minuti dopo, alle 8.51: il fotogramma del suo rientro è l’ultimo che lo mostra in vita.
Si materializza in quei momenti il tragico incrocio con il ventottenne gambiano Dawda Bandeh, che nel frattempo è riuscito a entrare al piano rialzato della dimora di tre piani a due passi dall’Arco della Pace: il centrafricano, sorpreso in casa da Manansala, riuscirà a sopraffarne la reazione (in casa è stata trovata una mazza di scopa spezzata) e a strangolarlo, lasciandolo a terra esanime in camera da letto. I dettagli del prologo del raid killer, con tanto di immagini, sono contenuti nell’ordinanza con cui il gip Domenico Santoro, a valle dell’interrogatorio di convalida del fermo per omicidio e rapina, ha disposto la misura cautelare del carcere per Bandeh, difeso dall’avvocata Federica Scapaticci. Negli atti dell’inchiesta degli agenti delle Volanti, coordinati dal pm Andrea Zanoncelli, si legge pure che il gambiano è uscito dalla villetta alle 11.32, presumibilmente dopo aver compiuto il delitto, per tornare alle 12.43 e restarci fino all’arrivo della polizia alle 18.06. "Quel giorno sono uscito dalla polizia (in realtà dalla caserma Montebello dei carabinieri, che dista circa 300 metri da via Randaccio 8, ndr), ho attraversato un ponte, ho visto questa casa dove ho scavalcato e sono entrato perché la porta dietro era aperta. Sono andato in cucina, ho mangiato qualcosa, ho dormito in un letto. Sono entrato da dietro. Sono entrato in cucina, ho mangiato delle fragole, del pane e della marmellata. Ho bevuto acqua e caffè, ho fatto una doccia e mi sono messo a dormire. Mi avranno fermato 5, 6, 7 volte i carabinieri o la polizia, ma non si capiva niente: ero disorientato", la sua versione.
E l’aggressione letale a Manansala? Tra un "non ricordo" e l’altro, Bandeh ha messo a verbale: "La prima stanza che ho visto era il salotto. C’era una pianta a terra e basta. Ho visto la pianta a terra, ma non la persona morta. C’era una statua di legno, sono andato avanti e ho girato a destra perché avevo fame, ho subito pensato a mangiare perché non mangiavo da diversi giorni. Quando mi sono svegliato, ho fatto il giro della casa e ho visto quest’uomo nella stanza sulla sinistra". Di ricostruzione "priva di verosimiglianza e di coerenza logica" ha parlato il gip nel suo provvedimento, che ha ritenuto non credibile pure il passaggio in cui Bandeh ha ammesso di aver notato la pianta caduta a terra e la scopa in pezzi, "senza accorgersi del corpo dell’uomo riverso in terra". Per il giudice è invece "ragionevole ritenere che l’omicidio si sia verificato" poco dopo il rientro a casa di Manansala.