"C’è qualcosa di già sentito, di già sofferto. Ho amiche che mi vogliono bene e che in questo periodo di forte recrudescenza dell’antisemitismo mi dicono: “Stai a casa, non farti vedere“. No. No. Non posso rivivere quei tempi, in cui lo sfondo è una sala da pranzo piccolo borghese in cui io bambina sentivo dire: “Meglio non uscire, non farsi vedere. Non farti notare“. Perché? Lo urlo dentro di me quel perché". Liliana Segre è all’università Statale di Milano, che la sta laureando honoris causa in Scienze storiche "per la sua battaglia contro l’indifferenza e l’oblio, per l’impegno rivolto alle nuove generazioni".
In aula oltre 700 studenti e professori, l’abbraccio di una città. Ma la senatrice a vita, insieme a loro, non può scordare cosa sta succedendo fuori da quelle mura: dalle scritte antisemite comparse quattro chilometri e mezzo più in là, sul murale del Memoriale della Shoah, a quel pensiero fisso, che non le lascia tregua la notte. Pensa alla Striscia di Gaza, pensa ai bambini. "Non c’è notte che non mi tenga sveglia: sono una donna di pace, ho sempre detestato l’odio tra le parti, non concepisco la vendetta. È la notte dei tempi, la notte dell’indifferenza, legata al buio delle menti", dice con forza nella lectio magistralis che lei stessa non ha concepito sotto forma di monologo né di lezione alla platea: Liliana Segre ha voluto trasformarla in dialogo e arriva dritto al punto.
Si confronta a cuore aperto con il giornalista Enrico Mentana per rivolgersi ai tanti giovani presenti, senza ripetersi mai. "Quanto è successo dal 7 ottobre mi ha messo in una condizione che non avevo vissuto prima – confessa –. Sono stata così fortunata nel diventare mamma e poi nonna. E nella spirale dell’odio più crudele, delle cose più spaventose dal 7 di ottobre in poi, ci sono i bambini. I bambini sono il frutto dell’amore, sono il futuro. E il fatto che vengano uccisi per l’odio degli adulti, che non si ferma mai, mi ha dato una forma di disperazione serale quando affronto la notte".
Non riesce a essere ottimista, l’aveva ammesso sin dall’inizio, ricordando il ruolo giocato dall’indifferenza durante lo sterminio come oggi: "Per questo mi sono battuta per scrivere la parola ’indifferenza’, sul Memoriale della Shoah: è una delle cose che turba di più le scuole, ne chiedono il motivo. Era necessario farlo". Anche a fronte di un dato: "Il 40% degli italiani adesso non vota. Perché così tante persone delegano la loro democrazia? Non si chiude un ciclo storico se c’è l’indifferenza".
È il Giorno della Memoria, anche se "per chi ha passato quello che ho passato io il giorno della memoria è 365 giorni l’anno", aveva ribadito, prima di entrare in università e di condividere altri ricordi di quando, a 13 anni, è stata deportata con il padre ad Auschwitz dal Binario 21 della stazione Centrale di Milano. "I carnefici non hanno fatto mai un mea culpa. Non ho incontrato nella mia lunga vita uno che mi abbia detto: “Io ero tra quelli che ti spingeva sul vagone“". Negli occhi le lunghe file di persone condannate a morte, nelle orecchie il processo a Adolf Eichmann, "la banalità del male, senza parole di pentimento: si difese da burocrate". Ripensa al "signore che è andato a sfregiare una lapide sul mio sentiero qualche giorno fa: perché ha usato cinque minuti di una preziosa vita, che non è eterna, per fare un segnaccio sul mio nome? Sarebbe interessante studiarlo". "Non credo che gli italiani abbiano chiesto scusa in maniera ufficiale: italiani brava gente", ha chiuso sarcastica.
Liliana Segre continuerà però a parlare, l’odio non la bloccherà a casa. Anche se resta una consapevolezza: "Per 30 anni sono andata nelle scuole, ma so di non avere mai detto tutto. Non c’è vocabolario in cui ci siano le parole per dire fino in fondo tutta la verità e quello che succedeva nei lager, ogni secondo".