
I rilievi in via Zanzottera a Milano dopo l'omicidio di Vittorio Boiocchi detto lo Zio
Milano – Un piano preparato nei minimi dettagli. Un agguato studiato per mesi. Passo dopo passo. Senza tralasciare nulla o quasi. Vittorio Boiocchi doveva morire per lasciare spazio ai nuovi plenipotenziari della Nord. Troppo ingombrante lo Zio, smanioso di recuperare il tempo perduto nel quarto di secolo dietro le sbarre. Troppo sospettoso degli affari del Berro e dei conti che a suo dire non tornavano. Troppo ancorato alle vecchie logiche da ultrà, che mal si conciliavano con le mire espansionistiche dell’ambizioso socio e con la pax siglata con gli arcirivali (solo sulla carta) della Sud capitanata da Luca Lucci.
La ‘condanna a morte’ dello Zio
Alla fine, è stato lo stesso mandante Andrea Beretta, arrestato il 4 settembre dopo aver ucciso a coltellate il rampollo di ’ndrangheta Antonio Bellocco (che guardacaso gli aveva mosso le stesse accuse che hanno condannato a morte lo Zio), a fornire a Dda e polizia la chiave di volta dell’unico delitto irrisolto degli ultimi anni: nelle centinaia di pagine di verbali che ha riempito da collaboratore di giustizia, si è autoaccusato di aver ordinato l’assassinio di colui che l’aveva eletto a braccio destro e ha indicato i presunti complici, che avrebbe ricompensato con 50mila euro.
Le prove contro il commando
Gli specialisti della Omicidi, guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal funzionario Domenico Balsamo (che non poteva immaginare epilogo migliore per la pluriennale esperienza alla Mobile di Milano che lascerà in queste ore per andare a guidare quella di Verona), hanno cercato riscontri a quelle dichiarazioni, trovandone in abbondanza per sorreggere i gravi indizi di colpevolezza che hanno spinto la gip Daniela Cardamone a emettere le sei ordinanze di custodia cautelare.
Beretta, i Ferdico, Bellebuono e Simoncini
Stando alla ricostruzione dell’aggiunta della Dda Alessandra Dolci e dei pm Stefano Ammendola e Paolo Storari, sono stati Marco Ferdico, ex frontman della Nord nel triumvirato completato da Beretta e Bellocco, e il padre Gianfranco a pianificare il raid killer, assoldando Daniel D’Alessandro alias Bellebuono e Andrea Pietro Simoncini (suocero di Ferdico già coinvolto nella faida mafiosa delle Preserre) come esecutori materiali sul Gilera Gt fittiziamente intestato a Cristian Ferrario (già custode dell’arsenale della Nord). A quest’ultimo, a Beretta e ai Ferdico, il provvedimento è stato notificato in carcere, dov’erano già reclusi; D’Alessandro, che circa un mese fa era espatriato in direzione Bulgaria, è stato catturato nel paesino di Svetoslav, mentre Simoncini è stato bloccato in provincia di Vibo Valentia.
Il ruolo di Mauro Nepi
Secondo gli atti dell’inchiesta, il progetto di far fuori Boiocchi inizia a prendere corpo nella primavera del 2022, innescato dallo scontro sempre più acceso tra i vicerè del Meazza. Nella versione di Berro, è il fidato Mauro Nepi, ex lanciacori del secondo anello verde finito nell’operazione "Doppia Curva", a offrirgli la soluzione: "Faccio l’appuntamento con Maurino a Carugate, un pomeriggio, e mi dice “Guarda, c’è una persona che ti potrebbe risolvere il problema definitivamente di questa faccenda qua“. Chi è? "Questa persona era Marco Ferdico", che a sua volta aveva avuto uno screzio con Boiocchi: lo Zio gli aveva inibito i commenti sui social dopo alcuni post negativi "contro squadra e allenatore". Il prezzo da pagare equivale a 50mila euro, che Beretta dice di aver consegnato a Nepi in una borsa da palestra.
Il summit, la Luger, il Gilera: il piano omicida
Il piano prende forma: il mandante incontra i Ferdico e il suocero di Marco, ai quali procura la pistola "7.65 col carrello" (anche se l’arma che ha ucciso il capo ultrà è una Luger 9x19) e il motorino Gilera Gt. Partono i sopralluoghi, a bordo "dei taxi degli amici": il primo va in scena l’11 ottobre, a diciotto giorni dal giorno x. Ferdico junior si occupa di noleggiare per 48 ore il Fiat Ducato usato per trasportare lo scooter in zona Figino. La data giusta è il 29 ottobre 2022: Boiocchi resta a San Siro fino alle 19.30, obbligato poi dal Daspo a tornarsene a casa prima del fischio d’inizio di Inter-Sampdoria. Nel frattempo, gli assassini sono già in movimento da ore: si sono visti al mattino e al pomeriggio in zona Mecenate per gli ultimi dettagli; comunicano tra loro solo con telefoni Google Pixel con sim olandesi e messaggistica criptata Pgp. Quando Boiocchi sale in sella allo scooter di un ultrà per rientrare in via Fratelli Zanzottera, qualcuno (forse lo stesso Ferdico) avvisa gli operativi via sms. Simoncini e D’Alessandro aspettano nel buio, in via Anghileri, anche se una caduta imprevista lungo il tragitto ha invertito i ruoli: il primo aspetta in sella al motorino acceso, mentre il secondo si incarica di esplodere i colpi letali.
Le ultime parole di Boiocchi: “No, no”
L’assassino ha un’esitazione sotto i portici, ma poi riparte verso lo Zio: il sessantanovenne lo vede arrivare armato e gli va incontro urlando "No, no". Cinque spari, due proiettili a segno. Poi la fuga. Il Gilera viene distrutto: nei giorni successivi, Ferrario ne denuncia il furto ai carabinieri. Dalla Calabria sale Bellocco, fino a quel momento apparentemente fuori dai giochi, e si prende San Siro con Beretta e Ferdico. Il patto reggerà meno di due anni.