Milano, 19 febbraio 2025 – Lo scambio di battute che si fa via via più animato. Si parte da un apparentemente innocuo "Ti conosco sin da quando eri piccolo" a un altrettanto bonario "Perché non vieni a lavorare con me?". Le risposte piccate del giovane interlocutore, che si sentirà profondamente infastidito da quelle parole, innescano la scintilla del litigio, con l’alcol ad alzare ulteriormente la tensione.

A un certo punto, il ragazzo sparisce e si dirige nel retrobottega della panetteria, una sorta di soppalco che spesso usa per dormire. Ne esce dopo un minuto e mezzo con l’arma in pugno e rientra nel panificio del padre, che nel frattempo sta scaldando una pizza a una cliente. Passa un altro minuto, e si sentono distintamente i botti in rapida successione: i passanti li scambiano per petardi, ma in realtà sono colpi di arma da fuoco. Sei in totale, tutti a segno: quattro colpiscono tra addome e fianco il vero bersaglio, il quarantanovenne ucraino Ivan Disar, ammazzandolo; gli altri due feriscono il ventiseienne connazionale Pavlo Kioresko, ora fuori pericolo dopo essere stato operato d’urgenza al San Carlo. Centottanta secondi per uccidere. Poi la corsa nel cortile condominiale e da lì in strada, col "ferro" nascosto nella cintola dei pantaloni. Ecco la sequenza del delitto di piazzale Gambara, andato in scena nel tardo pomeriggio di sabato. Il protagonista è il ventunenne Raffaele Mascia, fermato per omicidio, tentato omicidio e porto abusivo di arma dagli investigatori della Squadra mobile e portato a San Vittore.
I contatti con gli amici
Dopo la fuga, hanno ricostruito gli inquirenti, Mascia, che ha lasciato il cellulare sul pavimento del negozio, si mette in contatto con i suoi amici più fidati: con loro si confronta, e a loro confida l’intenzione di costituirsi. Lo immaginano gli specialisti della Omicidi, guidati dal dirigente Alfonso Iadevaia e dal funzionario Domenico Balsamo, che lo braccano sin dalle prime ore: la scheda segnaletica del ricercato sta sui cruscotti di tutte le auto di pattuglia. Col passare delle ore, l’area da sorvegliare con più attenzione diventa quella di Porta Genova, indicata dai resoconti dei controlli inseriti nelle banche dati delle forze dell’ordine come quella solitamente frequentata da Mascia.
Il blitz in piazza Venino
E così, due sere fa, i poliziotti lo intercettano dalle parti di piazza Venino, a due passi dall’ingresso del commissariato di zona. Il ventunenne viene portato in Questura: lì gli viene notificato il fermo di indiziato di delitto, già firmato nelle ore precedenti dal pm Carlo Enea Parodi sulla base degli indizi messi in fila dai segugi di via Fatebenefratelli.
L’indagine
A inchiodare Mascia ci sono le immagini di una telecamera installata all’interno dell’androne del palazzo al civico 4, che ne hanno immortalato l’andirivieni dal retrobottega e la fuga successiva alla sparatoria. E poi c’è la testimonianza della quarantottenne moldava, amica dei due ucraini, che vede i due uomini cadere davanti ai suoi piedi ed esce urlando in strada: "Aiuto, aiuto". Scappa pure lei, evidentemente terrorizzata, salvo poi presentarsi in una stazione dei carabinieri per raccontare quello che è successo; i militari avvisano subito la Mobile, che sta già indagando sul raid killer. La donna tratteggia un identikit che corrisponde esattamente al ventunenne, occhi e capelli neri e alto circa 1,75 metri.
Lo sfogo
Mascia verrà interrogato oggi dal pm e successivamente dal gip per la convalida del fermo, ma informalmente avrebbe già fatto le prime parziali ammissioni. Non è apparso pentito, anzi chi ci ha parlato lo descrive come una persona lucida, perfettamente consapevole di quello che ha fatto. In sostanza, il ventunenne avrebbe fatto capire di aver reagito a una provocazione, a quelle parole pronunciate dall’amico del padre che lo avrebbero toccato nel vivo. "È la legge della strada", avrebbe tagliato corto. E la pistola? Non l’aveva con sé quando è stato preso e non ha dato indicazioni per indirizzare le ricerche: "Non verrà mai ritrovata, non c’è pericolo".
La vita difficile
Il ragazzo ha un passato molto complicato alle spalle: figlio dello storico panettiere di Gambara e di una mamma per nulla presente nella sua vita, è stato arrestato per spaccio di hashish da minorenne e mandato in una comunità, da cui sarebbe scappato più di una volta. Poi un altro arresto da maggiorenne, circa un anno fa, sempre per droga. Boxe e arti marziali le passioni. Il papà ha provato in tutti i modi a stargli vicino, mettendogli a disposizione anche quello spazio nel retrobottega, di cui aveva le chiavi. Lì con ogni probabilità il ventunenne nascondeva la pistola, di cui è stata ritrovata la custodia. E sempre lì i poliziotti hanno scovato una katana, uno storditore elettrico e un manganello telescopico.