ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Il male di vivere dei ragazzi: tentativi di suicidio raddoppiati

L’allarme arriva dal Fatebenefratelli: solo a gennaio tre ricoveri di giovanissimi. Nel 2020 sono stati 10, ma 57 gli episodi con al centro la volontà di farla finita

Aumenta il disagio tra i giovanissimi lombardi

Aumenta il disagio tra i giovanissimi lombardi

MILANO, 3 febbraio 2021 - Minori che tentano di farla finita. C’è un allarme che arriva dall’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Nel mese di gennaio appena concluso ci sono stati tre ricoveri nella Casa Pediatrica per tentativi di suicidio. Nel 2020 i ricoveri dopo un gesto suicidario nell’ospedale milanese sono stati complessivamente 10. Lo stesso numero si era verificato nel 2019. Nel 2020 sono stati registrati 57 episodi (inclusi ricoveri, accessi al pronto soccorso, visite psicologiche ambulatoriali e con telemedicina) fra tentativi di suicidio, gesti autolesionistici, atti dimostrativi, crisi di psico-agitazione, attacchi di panico e crisi depressive con idee suicidarie che hanno coinvolto under 18. Nel 2019 questa contabilità tragica, legata agli stessi motivi, si era fermata a 29 casi.

Gli episodi sono raddoppiati nel giro di un anno: l’incremento è stato del 96%. È vero che il dato sui ricoveri per tentativo di suicidio è rimasto stabile per due anni. Ma non è una consolazione. A tentare il gesto "estremo" ci sono stati l’anno scorso anche due casi di bambini di 5 e 9 anni. Parliamo in media di soggetti che hanno fra 12 e 18 anni, soprattutto maschi che tendono a perseguire la loro condotta suicidaria anche con un metodo "diretto" come l’autostrangolamento. Secondo Istat, in Italia quasi il 6% dei 3.940 decessi per suicidio nel 2017 riguarda ragazzi sotto i 24 anni.

A preoccupare sono anche i dati forniti da un’indagine di “Casa di Melo“, progetto di Fondazione Exodus e Casa del Giovane di Pavia, sugli stili di vita giovanili che ha coinvolto lo scorso anno 1.430 studenti di sei scuole medie della provincia di Milano. Quasi il 25% - uno su quattro - si è procurato volontariamente almeno una volta dolore fisico. Quasi al 36% è capitato di utilizzare il cibo per sentirsi meno tristi o tranquillizzarsi.

"Non sempre i segnali lanciati dai giovanissimi sono raccolti dal mondo adulto, a partire dalla famiglia: così il grido di dolore si scarica in attegiamenti autolesivi come i tagli sul corpo o nelle abbuffate. Questi numeri sono il termometro di un profondo disagio interiore dei ragazzi, determinato da vari fattori, incluso l’ansia di prestazione. Gli adulti ci devono essere, destinando a loro quantità e qualità del loro tempo", commenta Simone Feder, educatore, psicologo e coordinatore della Casa del Giovane di Pavia.