MARIO CONSANI
Cronaca

Il martirio di Lea Garofalo Suicida uno dei killer: si è impiccato in cella Fu lui a bruciare il corpo

Curcio scontava a Milano l’ergastolo per il delitto della testimone di giustizia. Il 47enne crotonese arse il cadavere per tre giorni: trovati 2mila frammenti ossei. La donna (uscita dalla protezione) fu attirata in trappola dall’ex marito e boss.

Il martirio di Lea Garofalo Suicida uno dei killer: si è impiccato in cella Fu lui a bruciare il corpo

di Mario Consani

e Nicola Palma

Si è impiccato nella cella in cui stava scontando l’ergastolo, a Opera. Quando è stato soccorso, era già in fin di vita: Rosario Curcio, originario di Petilia Policastro, 47 anni da compiere il 29 agosto, è morto dopo alcune ore di agonia al Policlinico. Nel 2014, si era visto confermare dalla Cassazione il carcere a vita per l’omicidio e la distruzione del corpo della testimone di giustizia Lea Garofalo, assassinata a Milano nella notte tra il 24 e il 25 novembre 2009. Con lui erano stati condannati al ’fine pena mai‘ l’ex marito della donna e mandante dell’assassinio, Carlo Cosco, il fratello Vito detto Sergio e Massimo Sabatino; 25 anni a Carmine Venturino, che tra primo e secondo grado aveva contribuito a far ritrovare in un tombino i 2mila frammenti ossei di Lea con una confessione in alcuni punti non attendibile per i giudici. Curcio si è ucciso giovedì: la salma è stata già trasportata nell’istituto di medicina legale di piazzale Gorini, in vista dell’autopsia. L’uomo fu arrestato il 18 ottobre 2010 con l’accusa di aver preso parte al delitto Garofalo. Un delitto organizzato dall’ex marito e padre della figlia Denise, ossessionato dalle rivelazioni messe a verbale dalla donna nei sette anni in cui era stata testimone di giustizia. Una donna coraggiosa – diventata uno dei volti della lotta contro la criminalità organizzata – che nel 1996 scelse di interrompere la relazione con Cosco dopo il suo arresto e che nel 2002, dopo l’ennesimo raid intimidatorio, prese la decisione di collaborare con la magistratura, "con l’intento di crearsi nuove prospettive di vita, soprattutto nell’interesse di Denise". Per questo, il suo ex la voleva morta, non prima di averla torturata per sapere cos’avesse riferito ai pm. Già nel 2005 Lea, all’epoca residente a Perugia, aveva denunciato al servizio di protezione che la famiglia Cosco era riuscita a risalire al suo domicilio segreto e che qualcuno era pure arrivato in Umbria per cercarla, salvo presentarsi all’indirizzo sbagliato. Chi era quel qualcuno? Rosario Curcio. Lo stesso che avrebbe partecipato anche alla riunione preparatoria al tentativo di rapire la donna il 5 maggio 2009 a Campobasso, fallito solo perché Lea e Denise misero in fuga il finto tecnico Massimo Sabatino.

Sei mesi dopo, Cosco ci riprova: riesce ad attirare la ex a Milano con la scusa di dover discutere insieme del futuro della figlia. Le telecamere dell’Arco della Pace riprendono Lea viva per l’ultima volta alle 18.39, quando sale sull’auto di Cosco. Quello che succede dopo non è mai stato accertato con esattezza: con ogni probabilità, la donna viene sequestrata e portata prima in un appartamento di piazza Prealpi e poi in un box di viale Espinasse. In quei minuti, entra in scena Curcio, che parteciperà nel magazzino di San Fruttuoso a Monza alla distruzione del cadavere, bruciato in un bidone. "L’estrema gravità dei fatti – connessa alle oggettive modalità di esecuzione degli stessi, espressive della mancanza di umana pietà nell’infierire persino sui resti di una persona verso la quale l’imputato non aveva alcuna ragione di astio –, l’intensità del dolo evidenziata attraverso il completamento dell’intero progetto delittuoso, la mancanza di qualsiasi segno di resipiscenza ostano al riconoscimento delle richieste attenuanti e, conseguentemente, precludono una modifica della pena base in termini miti", la sintesi dei giudici della Corte d’assise d’appello per confermare l’ergastolo a Curcio nel 2013.