ANDREA GIANNI
Cronaca

Il MeToo della pubblicità, una valanga di racconti choc: mani addosso, battute volgari e molestie

“Solo le più sexy facevano carriera”. La testimonianza di un uomo: era impossibile avere conversazioni normali con i team leader, parlavano solo di sesso

Una manifestazione del movimento Metoo, nato negli Stati Uniti

Milano – Giulia era una stagista di vent’anni quando, nel 2011, ha subito molestie sessuali sul lavoro da parte di un 50enne, nell’ambiente della pubblicità e della comunicazione digitale milanese. Riassume la scelta dell’epoca, quella di non denunciare gli episodi alle autorità, con il "timore di ritorsioni personali, della gogna pubblica e dell’isolamento professionale". Una sensazione di abbandono e di isolamento comune a tante altre vittime, in un settore con un’alta quota di occupazione femminile ma con ruoli dirigenziali quasi sempre affidati a uomini. Un mondo con un’alta mobilità e dove è tradizionalmente debole il radicamento dei sindacati, uno dei punti di riferimento per denunciare problemi sul luogo di lavoro.

Giulia "dopo 12 anni di anonimato" ha deciso di esporsi, come centinaia di altre ragazze protagoniste della battaglia, sull’onda del movimento Metoo statunitense, che sta scuotendo il mondo patinato della pubblicità. Una battaglia partita dalla pagina Instagram Taniume, aperta da una copywriter freelance, che finora ha raccolto circa 400 testimonianze di molestie sessuali, insulti, mobbing e discriminazioni, non solo nel settore della pubblicità.

"Vogliamo un cambiamento radicale e strutturale che non si limiti alla punizione dei colpevoli – spiegano le promotrici – e il settore deve creare un luogo di lavoro sicuro per tutti. Ci vogliono impegni concreti e ci vuole la collaborazione di tutti. Noi andremo avanti, perché servirebbe anche una forma di assistenza psicologica e legale per le donne che subiscono questi episodi e si trovano a combattere da sole, senza il supporto di nessuno". 

Hanno gettato un sasso che ha innescato uno tsunami, portando sotto i riflettori un problema prima passato sotto silenzio o rimasto confinato agli addetti ai lavori.

Sono arrivate, intanto, le prese di posizione di associazioni del settore come Una, Ferpi e Adci, con assemblee, parole di condanna con varie sfumature e propositi di "mettere al bando qualsiasi tipo di comportamento sessista e discriminatorio". Ferpi, con il presidente Filippo Nani, la vicepresidente Daniela Poggio e la segretaria generale Daniela Bianchi, annuncia inoltre la creazione di "un team di delegati che seguano le vicende in corso con il supporto legale" dell’associazione.

Fondazione Libellula diffonde inoltre una ricerca con dati choc: il 53% delle intervistate è stata oggetto di battute sessiste e volgari sul lavoro, una donna su 4 ha avuto contatti fisici non richiesti. Intanto è stato "scoperchiato il vaso di pandora", e il fiume di testimonianze sui social non si ferma. Vengono alla luce battute volgari e offensive come quella rivolta da un big della pubblicità a una ragazza di origine asiatica: "Voi avete la patatina morbida perché usate gli olii sul corpo".

"Un giorno era tornato da un viaggio di lavoro da New York – racconta un’ex dipendente dell’agenzia – davanti a tutti mi prese il volto e mi diede un bacio. Rimasi zitta e poco dopo sono uscita dall’ufficio". Un’altra spiega di essere stata molestata "più volte sia verbalmente che con atteggiamenti fisici" dal direttore creativo: "Si sedeva in braccio a me e mi accarezzava le gambe". Altre parlano di "massaggi alle spalle durante le riunioni" e di altri contatti non graditi, direttori creativi "che portavano ai clienti solo le account più sexy e che a detta loro si vestivano in modo provocante". Battute a sfondo sessuale fatte "da 60enni a ragazze di 25 anni".

Comportamenti noti a tutti ma passati sotto silenzio, con le vittime che in molti casi hanno scelto di cambiare lavoro o sono finite in terapia per i traumi subiti. Un corollario di colloqui di lavoro surreali, giornate in ufficio senza fine (staccare alle 18 era considerata una "mezza giornata" di lavoro) in colossi o piccole agenzie, burnout, mentre anche diversi uomini si stanno facendo avanti per mettere sotto i riflettori il problema: "Era impossibile avere delle conversazioni normali con i team leader perché erano capaci solo di raccontarti quante tipe si scopavano", generando i tentativi di emulazione da parte dei colleghi più giovani.

"Il capo fa sempre battute sull’aspetto fisico non ritenendomi abbastanza figa da dover portare dai clienti o farmi parlare con loro in call – racconta la dipendente di un’agenzia digital – abbiamo anche fatto una riunione dove io gli ho spiegato in lacrime che ci sto male perché questi commenti non fanno altro che aumentare le mie insicurezze".

Sono emersi episodi come la cosiddetta “chat degli 80” creata da alcuni dipendenti del colosso della comunicazione We Are Social e aperta solo agli uomini etero, per esprimere pesanti apprezzamenti, frasi offensive sulle donne, giudizi sull’aspetto fisico di colleghe e stagiste. Ci sono poi le accuse di essere un "molestatore seriale" rivolte a un volto noto della pubblicità, autore di campagne per i più noti brand, che ha anche firmato progetti su temi sociali. Un professionista che lo scorso 7 giugno è stato escluso all’unanimità dall’Art Directors Club Italiano, storica associazione del settore, per "violazione dello statuto". Denunce di ragazze di cui si è fatto portavoce da tempo un altro big, Massimo Guastini, che anche ieri è intervenuto sui social parlando di un "cancro sociale" e di "troppe donne che sono state e continuano a essere molestate sessualmente e in vari modi".