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Il Ristorante solidale Ruben. Ogni sera serviti 300 pasti: "Oggi i poveri hanno un lavoro"

Focus sul cambiamento dei commensali: occupati ma senza uno stipendio sufficiente. Tra chi si siede a tavola, cento sono bambini. All’opera volontari e uno staff per cucinare . .

Il Ristorante solidale Ruben. Ogni sera serviti 300 pasti: "Oggi i poveri hanno un lavoro"

di Marianna Vazzana

MILANO

Lavoratori, sì. Ma poveri. Tradotto: sempre più persone, pur avendo un’occupazione, non guadagnano a sufficienza per arrivare a fine mese. Un fenomeno che è sempre più presente in città come Milano, dove il costo della vita è elevato. E “Working poor: se lavorare non basta per uscire dalla povertà” è il titolo dell’incontro organizzato ieri al Ristorante solidale Ruben di via Gonin 52, in zona Lorenteggio, che è un osservatorio privilegiato sulle nuove povertà fin dalla sua nascita, 9 anni fa. È un ristorante in cui mangiare ha il costo simbolico di un euro e in cui i commensali hanno a disposizione un menù. Ogni sera vengono servite 300 cene da volontari che si alternano e operatori fissi, mentre in cucina lavora uno staff messo a disposizione dalla fondazione Ernesto Pellegrini onlus. I bambini sono circa un terzo del totale degli avventori e hanno da 0 a 12 anni (non pagano fino a 16 anni). Altro dato: la metà dei commensali è costituita da donne. Il 50%, poi, è rappresentato da stranieri, la maggior parte di seconda generazione, integrati a Milano. E da quando il Ristorante Solidale Ruben ha aperto (2014) ha tesserato 11mila persone. I numeri di chi è in difficoltà sono aumentati: in media, nel 2018, erano in 250 a sedersi la sera tra i tavoli.

Ora, la crescita del fenomeno dei “lavoratori poveri“ emerge dai numeri del Rapporto dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas Ambrosiana: alle porte di centri d’ascolto e servizi diocesani sparsi nell’area metropolitana di Milano e nelle province di Varese, in parte di Como, Monza-Brianza e Lecco, bussano sempre più persone occupate ma che non guadagnano abbastanza. Dei quasi 15mila aiutati, oltre 6mila hanno dichiarato di avere dei familiari: significa che la rete di solidarietà ha raggiunto oltre 30mila persone.

Una fotografia che rispecchia quanto sta succedendo a Ruben: "Solo nell’ultimo anno – dice Giuseppe Orsi, ad della Fondazione Ernesto Pellegrini – ci siamo accorti di quanto significativa sia diventata la trasformazione dello status di molti nostri commensali. Prima erano caratterizzati dall’essere diventati improvvisamente fragili, inaspettatamente e per cause diverse, prima tra tutte la perdita del lavoro". Da qui l’impegno ad aiutarli a trovare un’occupazione. "Oggi invece hanno sempre più spesso “un lavoro povero“, il cui reddito non è sufficiente a garantire il benessere, a volte neanche il soddisfacimento dei bisogni primari". Ruben quindi è una boccata d’ossigeno. "L’ho ideato – ricorda il “papà“ Ernesto Pellegrini, cavaliere del lavoro – dandogli il nome di un uomo che morì di stenti, che avevo conosciuto da ragazzo quando lavorava nella cascina di famiglia". In sua memoria, oggi aiuta tutti gli altri.