CLAUDIO NEGRI
Cronaca

Il risveglio e il sapore del latte

Negri Nell’estate del 2003, uscito da quaranta giorni di coma e fino a lì nutrito e dissetato come una pianta insabbiata,...

Negri Nell’estate del 2003, uscito da quaranta giorni di coma e fino a lì nutrito e dissetato come una pianta insabbiata,...

Negri Nell’estate del 2003, uscito da quaranta giorni di coma e fino a lì nutrito e dissetato come una pianta insabbiata,...

Negri

Nell’estate del 2003, uscito da quaranta giorni di coma e fino a lì nutrito e dissetato come una pianta insabbiata, decisero di provare a rimettermi in moto l’apparato digerente, dandomi qualche goccia di latte dalla bocca. Se ne incaricò - o ne fu incaricata - un’infermiera del Fatebenefratelli della quale non ricordo quasi più nulla, solo una mano che mi teneva la nuca e l’altra che mi dava il latte da una tazza, a piccolissimi sorsi. Ah, il latte! Sarà stato di certo scremato, filtrato o che altra sottrazione di gusto non so dirvi. Ma anche ai minimi termini era pur sempre il primo cibo universale dei mammiferi, da polo a polo. Un cibo non da cena, ma da colazione a Emmaus. Da resurrezione certificata. Dopo quaranta giorni di aspro deserto tornavo alla vita con una sorta di poppata rituale, liturgica. Quando il latte finì, sfiorai con le labbra la mano dell’infermiera riuscendo a dirle: “Grazie, mamma”.

Quella stessa notte, nel mio letto d’ospedale, liberato ormai dalla compassione chimica della morfina che faceva delirare la fantasia profonda lenendo il dolore, sognai più liberi sogni. Dall’eco di chissà che mi venne di ritorno l’immagine del cortile dell’infanzia: giù in fondo, tra due casamenti consimili quasi a ridosso, lo spazio era chiuso dalla parete a diga di un caseificio, il cui compressore ritmava insonne, in trequarti cupi e bassi, le notti d’estate. Giù nel cortile, sbucati da un fossato medievale che aveva perduto il nome e lo scopo, vidi sgusciare topi di dimensioni favolose e c’era la rossa grassa risoluta profuga ungherese, la signora Molnàr, che ne aveva quasi catturato uno - ma perché poi? - bloccandogli la spropositata coda nello sportellino della spazzatura. Sempre in sogno mi apparve il vano buio di una casa a pianterreno, l’unica senza televisore. Ma poi tutto andò pacificandosi in me, così di seguito sognai di svegliarmi in un mattino bianco latte. Nel cortile c’era una luce che nutriva tutte le cose e la luce ne era nutrita a sua volta: intanto, dalla casa senza televisore uscivano giovani madri dal sorriso pensoso, liberando dai loro bianchi grembiuli, a frotte, figli e rondini.