Anna Mangiarotti
Cronaca

Silvio Berlusconi editore: “Ci ha lasciati liberi a differenza di Agnelli. Tranne una volta...”

Gian Arturo Ferrari, per anni manager di Mondadori: "Non cercai mai di capire le sue letture preferite, sapevo che aveva di meglio da fare".

Gian Arturo Ferrari

"Non credo leggesse molti libri. Berlusconi. Non era l’editore, ma il proprietario della Mondadori". Gian Arturo Ferrari, che il colosso di Segrate ha governato con rara perizia, inventando collane e consegnandoci un’epoca attraverso le avventure umane e culturali di uomini e donne, insiste, fino alla fine, nel ricordare l’autonomia lasciata ai dirigenti dal patron: "Diversamente da quanto avveniva alla Rizzoli, sotto l’egida di Agnelli". 

Solo in una circostanza, Berlusconi s’intromise. Quale?

"Nell’ottobre 1992 avevamo pubblicato “Capitani di sventura”, di Marco Borsa con Luca De Biase, sui grandi gruppi industriali italiani. Nel sottotitolo: “Agnelli, De Benedetti, Romiti, Ferruzzi, Gardini, Pirelli, perché rischiano di farci perdere la sfida degli anni ’90“. La loro condotta irresponsabile aveva trascinato il Paese sull’orlo di una bancarotta irrimediabile. Tesi che avevo discusso a lungo con gli autori, e condividevo. Il succo: la grande impresa italiana risultava in crisi non tanto perché intrinsecamente debole, ma perché mal gestita. E lo era perché governata da proprietà familiari di tipo feudale che avevano costruito un potere oligarchico, finanziario e speculativo, capace di subordinare agli interessi personali dei membri di tale oligarchia qualunque altro interesse aziendale o generale".

Gli “sventurati” reagirono?

"Certo, a un’assemblea di Confindustria, Romiti aggredì Berlusconi. Che alle 7 del mattino dopo mi fece una telefonata furibonda e molto ingiuntiva: “Ritirate il libro!“. Non era possibile, gli spiegai, perché i librai erano ormai i proprietari delle copie acquistate. Allora, “divieto assoluto di ristamparlo!“".

Così fu?

"Per la verità, lo feci, senza però precisare che si trattava della seconda e terza edizione".

E Silvio verificò?

"A Natale, veniva sempre a fare gli auguri a noi “capataz“ (gli piaceva usare lo spagnolo). E mi chiese se avevo obbedito all’ingiunzione: “Senz’altro“, lo rassicurai. E ci guardammo negli occhi sorridendo". Dei manager, lasciati liberi, guardava i risultati. E Ferrari, laureato in Lettere classiche, docente di Storia della scienza e Storia del pensiero scientifico all’università di Pavia, lo chiamava “Professore”.

Berlusconi accettò mai un suo no?

"Teneva molto a pubblicare un certo libro, di un signore molto potente e molto romano. “Non se ne parla nemmeno, non è degno della Mondadori“, io risposi. Aggiungendo, temerariamente, quando mi chiese che voto gli avrei dato: “4!“".

Tra l’altro il “Professore” bocciò l’idea di Silvio di introdurre negli Oscar “La Gerusalemme Liberata”, informandolo che quest’opera porta sfortuna. È vero, non ci sono carteggi a testimoniare il rapporto professionale tra i due potenti. Ma Ferrari nella sua epica “Storia confidenziale dell’editoria italiana” (Marsilio) ci consegna con passione e puntualità episodi affettuosi e taglienti. E su Berlusconi ancora ci regala qualche aneddoto sgranato dalla memoria: "Quando mi accennò alla sua discesa in politica, lasciai cadere l’argomento. Io facevo il mio mestiere e lui era contento, anche se tolsi dalle copertine dei libri l’oro, che lui sapeva piacere alla gente. Né cercai mai di sapere quali fossero le sue letture preferite. Sapevo anche che aveva di meglio da fare...".