ALESSANDRO D’AMATO
Cronaca

Inchiesta ultras, l’esperto: “Biglietti in cambio della pace, il peccato originale dei presidenti”

Lo storico francese Sébastien Louis, autore della ’bibbia’ degli stadi italiani: manca la prevenzione della violenza. “I tifosi più caldi rappresentano una sottocultura giovanile per la quale politica e soldi sono importa”

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Sébastien Louis

“L’errore più grande lo hanno fatto alcuni presidenti, in passato e forse anche oggi. Hanno regalato biglietti per avere tranquillità e pace sociale allo stadio. Con accordi sottobanco e mai alla luce del sole. E non si è mai puntato contro la prevenzione delle derive violente negli stadi”.

Sébastien Louis è esperto di tifo radicale in Europa e nel Nordafrica. Ha collaborato con l’Unesco e l’Istituto del Mondo Arabo e ha scritto il libro ’Ultras – Gli altri protagonisti del calcio’. E oggi spiega di aver trovato molte corrispondenze tra l’inchiesta sugli ultras di Milan e Inter e le analisi del suo libro: “Non è la prima volta che si parla di rapporti tra esponenti delle curve e criminalità organizzata. Ma parliamo di pochissimi casi rispetto alla globalità del mondo ultras. Questi fenomeni sono maggiormente sentiti in alcune curve metropolitane. Bisogna dire che la filosofia ultras, le norme che regolano questa sottocultura, si oppongono al fatto che la curva diventa una fonte di guadagno. C’è però l’interesse della malavita per il mondo ultras. Così come per la politica, l’economia, l’edilizia e la sanità. Ne è infettata l’intera società”.

Come funziona il tifo da stadio? Come si reclutano i giovani e quali legami hanno gli ultras con la politica?

“È una meritocrazia. Si tratta di una sottocultura giovanile che in Italia esiste da 55 anni. Adesso il gap generazionale si è ridotto. I giovani? Non si reclutano. Sono loro ad avvicinarsi perché vogliono appartenere ai gruppi, e per farlo devono dimostrare di essere appassionati alla loro squadra e di voler perdere tempo e soldi per tifare. Gli ultras sono spesso protagonisti anche di raccolte fondi per beneficenza e di altre iniziative umanitarie. Tra gli anni ’60 e ’70 i gruppi erano vicini all’estrema sinistra: Brigate, i Fedayn, il Commando Ultra, Prima Linea richiamavano i movimenti radicali di sinistra. Negli anni ’80 una parte del tifo ha virato sull’estrema destra, perché la società italiana stessa è cambiata. Gli stadi sono lo specchio della società. Oggi ci sono curve che si collegano all’estrema destra come Verona, Ascoli e Lazio ma l’aggregante non è la politica, ma la fede per la squadra del cuore. Si trovano persone con opinione diverse nelle curve”.

Quello degli ultras è un sistema fortemente gerarchico e che funziona attraverso il culto della personalità dei capi. È d’accordo?

“Direi più meritocratico: quello che occupa il posto in curva è colui che ha dato di più per il gruppo. Poi ci sono un capo e un direttivo, è vero, ma anche valori e solidarietà: nelle curve troviamo persone disabili che fanno parte del gruppo e anche ragazze, pur in un ambiente sostanzialmente maschilista. Le riunioni si fanno all’aperto e servono a decidere trasferte, coreografie e rapporti con altri gruppi. Le decisioni vengono prese in maniera collegiale”.

L’inchiesta di Milano ha fatto venire fuori una serie di rapporti con i rapper.

“Non mi sorprende, visto che il rap oggi è una delle musiche più popolari tra i giovani, ma prima c’erano legami con l’hard rock, il punk o lo Ska: gli Statuto per esempio sono frequentatori della curva del Toro”.

Il giro d’affari per la vendita fraudolenta di biglietti arrivava a un milione di euro l’anno. Come si sostentano i gruppi ultras?

“Quasi tutti funzionano alla stessa maniera: vendendo materiale che stampano per coprire le spese. Poi c’è l’autofinanziamento. Ma la maggior parte dei gruppi hanno una situazione finanziaria disastrosa, perché costa la fanzine, lo striscione, la trasferta, l’avvocato. Soprattutto, nessuno vuole guadagnarci. I soldi della cassa poi sono di tutti: ognuno è lì per tifare la propria squadra, senza lucrarci sopra”. E poi ci sono le eccezioni.