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La Gdf di Milano ha messo nel mirino gli influencer
Milano - Su internet spuntano siti che si rivolgono a influencer, youtuber o e-gamer, sviluppatori di videogiochi, con consigli su come trasferire la residenza fiscale in Paesi come Andorra o Malta, e pagare meno tasse. Un sottobosco di tributaristi online, studi legali, sedicenti commercialisti specializzati nella giungla digitale.
La Gdf di Ravenna, per citare l’ultima operazione, ha scoperto tre influencer e content creator evasori totali, che avrebbero sottratto alla tassazione redditi per circa 400mila euro. Compensi mai dichiarati ricevuti dalle sedi amministrative estere di social network e altri introiti, anche con ricariche di carte Postepay, da parte di follower e fan per l’acquisto di foto, video e contenuti a pagamento. Uno di loro, formalmente disoccupato, intascava il reddito di cittadinanza.
L’economia che ruota attorno alle piattaforme è monitorata con attenzione anche dalla Guardia di finanza di Milano - che in passato ha messo sotto la lente colossi come Google, Amazon o Netflix - nella città che calamita startup, professionisti e influencer da tutta Italia.
Difficile stimare quanti siano gli influencer attivi, in una nebulosa dove convivono star del web che macinano milioni di euro, ragazzini in cerca di successo e “schiavi digitali“ pagati pochi euro o con i prodotti che pubblicizzano. Figure accomunate dal lavoro autonomo, a partita Iva.
Per dare un’idea della posta in gioco, e del business dietro le quinte, da una ricerca di Italiaonline sul mondo delle piccole e medie imprese emerge la continua crescita del mercato della “presenza e comunicazione digitale“: solo nel 2021 ha registrato un valore pari a 2,73 miliardi di euro, con una crescita del 22%. E l’influencer marketing, inizialmente considerato appannaggio delle aziende medio-grandi, e sempre più utilizzato anche dalle piccole, che hanno fatto registrare una crescita del 50% in termini di investimenti rispetto al 2020.
Una corsa, accelerata durante la pandemia, per promuovere prodotti e servizi sui social network, attirando i consumatori. "Quello dell’influencer è un lavoro, non un hobby - spiega Jacopo Ierussi, presidente di Assoinfluencer - ma non abbiamo neanche un codice Ateco di riferimento".
Per la “generazione Z“, composta dai nati fra il 1995 e il 2011, è uno dei lavori più ambiti. Ma solo in pochissimi riescono a realizzare il sogno di arricchirsi grazie al web. Intanto si moltiplicano i corsi online che promettono di svelare i segreti per diventare una star dei social. Il tutto, naturalmente, a pagamento.