Walter
Galbusera*
Nei giorni scorsi l’Italia è stata attraversata da una scossa di dolore e di rabbia per la morte di Luana, una giovane operaia ragazza madre che ha perso la vita schiacciata da un telaio in una fabbrica di Prato. Ciascuno di questi eventi drammatici è seguiti da dichiarazioni in cui tutti manifestano dolore, indignazione, rabbia, solidarietà. Si condanna la logica del profitto, si invoca l’azione giudiziaria e si richiede un aumento dei controlli. Ma la magistratura ha i suoi tempi e l’aumento, pur necessario, degli ispettori del lavoro ben difficilmente potrà garantire i controlli in ogni fabbrica con una ragionevole frequenza. Certo è necessario rafforzare i controlli, contrattare le condizioni di lavoro in ogni realtà e sollecitare le imprese ad utilizzare le tecnologie più sicure, ma occorre un’idea nuova, di rottura rispetto al passato, proprio in virtù del fatto che con i metodi tradizionali di lotta agli infortuni mortali raccogliamo solo cocenti sconfitte. Il cambio di passo nella lotta per la prevenzione degli incidenti sul lavoro potrebbe essere rappresentato dall’impiego obbligatorio delle telecamere in tutti gli ambiti di lavoro. Oltre a consentire l’intervento in
tempo reale in caso di anomalie o situazioni di pericolo, svolgerebbe una efficace funzione di prevenzione mettendo tutti gli interessati (imprenditori e lavoratori) in condizioni di rivedere quanto è accaduto. Certo le telecamere non restituirebbero le vite perdute. Ma potrebbero esercitare a un potere deterrente contro atti omissivi e ancor più, se utilizzate come strumento formativo,ottenere un risultato sicuro in termini di minor morti e feriti. L’impiego delle telecamere suscita anche il comprensibile timore che si possa violare la privacy e indebolire i diritti del lavoro. Questa preoccupazione può essere rimossa stabilendo che le immagini siano inutilizzabili per il controllo della prestazione del lavoratore o per qualunque sanzione disciplinare. In caso di necessità la magistratura dovrebbe naturalmente avere accesso diretto alle immagini. Se si vuole uscire dai riti inutili e da rischi di pura propaganda bisogna aver il coraggio di sperimentare nuovi strumenti. Senza concreti cambiamenti la parola d’ordine “Zero morti sul lavoro” rischierebbe di divenire uno tra i tanti slogan.
*Fondazione Anna Kuliscioff