MILANO - Ingegnere. Come il padre che non ha mai conosciuto e che se ne andò senza sapere niente di lui. Quella che si svolge in una delle grandi aule anfiteatro del Politecnico di Milano non è soltanto una seduta di laurea ma molto di più: è un’altra vittoria della vita sulla morte. Davide Gatti si laurea in Ingegneria chimica con una tesi sul processo di produzione dell’acido nitrico. Roberto, il padre, usciva dal Politecnico con la laurea in ingegneria elettronica. Roberto Gatti è una delle 118 vite bruciate nell’aeroporto di Linate, nella mattinata nebbiosa dell’8 ottobre 2001. Non dovrebbe trovarsi sul volo della Sas per Copenaghen, ma il collega incaricato di verificare un computer, finito non si sa come in Finlandia, è stato trattenuto dalla scomparsa del padre. Roberto, esperto di software, lo ha sostituito. È puntuale anche all’appuntamento fatale. Ha una moglie, giovane e graziosa, che si chiama Patrizia Ghiringhelli. Sono insieme da tredici anni, prima morosi, poi coniugi. Quella mattina, mentre corre verso Linate con la velocità della disperazione, inseguita dalle notizie sempre più terribili portate dalla radio, Patrizia non può ancora sapere del regalo di Roberto, il suo ultimo atto d’amore, il più grande.
Due settimane dopo apprenderà della nuova vita che porta dentro di sé.
“Confermo a coloro che sono stati nominati la laurea in Ingegneria chimica. Essi potranno avvalersi del titolo di dottore in ingegneria", scandisce la voce dalla professoressa Isabella Nova. E subito dopo è festa grande. Davide completo blu, un velo di barba, riceve gli abbracci interminabili della mamma e di nonna Carla, della sorella Rebecca, dello zio Claudio, dei compagni di liceo. La corona d’alloro che ha voluto sobria, con poche palline e con il cordino, scelta in internet e consegnata dal fioraio giusto la sera prima. Le fotografie, i filmini. Il neo dottore si sottrae per salire al piano superiore, dove la fidanzata Giulia si sta laureando in Ingegneria dei materiali. Nella giornata tutta gioia non può non insinuarsi una vena di dolce malinconia, la malinconia del ricordo. È l’unico momento in cui mamma Patrizia, dopo avere resistito a lungo, cede a qualche lacrima. "È una grande felicità, una grande emozione. Nel 1993 eravamo qui per la laurea di Roberto. Davide ha chiesto la tesi di laurea del padre. Ha visto che non aveva scritto nessuna dedica e ha deciso di fare lo stesso. Oggi manca la presenza di Roberto, manca la sua persona, ma è come se fosse qui, vicino a suo figlio e a me".
Davide, attesissimo, scende con Giulia, dolce e radiosa. Ha la struttura esile e alta del padre (con il suo metro e 95 lo ha superato di cinque centimetri), il suo stesso carattere riservato, parco di parole. "Sono passati questi tre anni. Ho finito un ciclo. Metterò il mio diploma di laurea vicino a quello di papà, troverò due cornici uguali. Quando la mamma mi parlava di lui mi diceva che era un uomo buono, di cercare di essere come lui. Io ci provo".
Il ritorno nella casa di Casorate Sempione. I vicini in festa. La grande stanchezza dopo una giornata interminabile come quella del 14 giugno 2002 quando Davide lanciò il primo vagito all’ospedale Sant’Antonio Abate di Gallarate. "Davide, figlio dell’amore", titolò Il Giorno , un titolo a tutta pagina, con incastonata l’immagine luminosa di Patrizia che stringeva a sé quel fagottino, come per essere sicura che fosse arrivato, che ci fosse. Voleva contemplarlo per rivedere chi non c’era più. "Davide – scriveva il cronista – è nato senza padre ma pochi bambini al mondo sono stati così attesi. Pochissimi saranno amati quanto lui. È il simbolo di un amore tanto forte da sconfiggere anche la morte".