Milano, 4 settembre 2024 – Le bugie della prima ricostruzione, riferita singhiozzando all’operatore del 118 e ripetuta ai carabinieri con apparente lucidità. Il cambio di versione e la confessione choc tra le lacrime, a dodici ore dalla mattanza: “Li ho uccisi tutti io”.
Dagli atti dell’indagine sulla strage della villetta di via Anzio 33, condotta dai militari della Tenenza di Paderno Dugnano e del Reparto operativo di Milano guidati dal colonnello Antonio Coppola, emergono le due verità raccontate da Riccardo C., che solo in un secondo momento si è autoaccusato di aver assassinato con 68 coltellate (di cui 39 inferte sul corpo del fratellino Lorenzo, 12 alla madre e 17 al padre) l’intera famiglia.
L’arrivo dei militari
Ore 2 di domenica scorsa, la prima pattuglia dei militari del Radiomobile di Sesto San Giovanni arriva nel vialetto che porta alla casa dei C. Sul muretto a destra, le body cam inquadrano il diciassettenne: è a petto nudo, con volto e braccia completamente coperti di sangue; indossa solo un paio di pantaloncini di tuta di colore grigio e impugna un coltellaccio da cucina.
Al telefono, ha detto di aver ucciso il padre, dopo che quest’ultimo aveva ammazzato la madre e il fratello minore. Gli investigatori del pronto intervento entrano nell’abitazione su tre livelli e ispezionano prima la tavernetta e poi il piano terra; poi salgono nella zona notte e notano macchie di sangue sul pianerottolo della scala, sia a terra che sul battiscopa. La cameretta, che si trova di fianco alla camera matrimoniale, ha due accessi con porta scorrevole: la luce è accesa.
Le menzogne
Ed ecco la scena drammatica: Fabio e Daniela a terra, il piccolo Lorenzo sul letto. Poco dopo, Riccardo inizia a parlare, spiegando cos’è successo dopo la festa per i 51 anni del padre, andata in scena la sera precedente: “Io e mio fratello eravamo in camera: io stavo giocando con il computer con dei miei amici, poi non mi ricordo verso che ora, ma poco dopo le dieci, sono andati a letto e io sono andato al piano di sotto e ho guardato la televisione. Poi mi sono messo con il telefono e a un certo punto sono andato in bagno”. All’improvviso, continua, “ho sentito urlare mio fratello. Allora sono andato verso il piano di sopra: mio padre era in piedi, ma chinato in avanti verso il letto di mio fratello e mio fratello sul letto. E mia madre era a terra. E poi ho visto il coltello dietro mio padre. Allora ho preso il coltello e l’ho colpito: dopo di che, anche lui ha provato a colpire, cioè si è girato e ha provato a reagire con le braccia. Io sono entrato nella camera passando dall’altra parte e ho cominciato a colpirlo di nuovo. Anche quando era a terra”.
La sequenza non convince sin dall’inizio chi sta indagando, anche perché i rilievi della sezione Investigazioni scientifiche di via Moscova raccontano altro. Portato in caserma e rimasto per ore in stato catatonico, alle 14 il diciassettenne si ritrova davanti alla procuratrice facente funzioni dei minori Sabrina Ditaranto e alla pm Elisa Salatino.
La confessione
Appena gli chiedono di ripetere tutto, lui crolla: “Avevo già pensato di commettere questo fatto. Non è stata un’idea che ho avuto ieri sera. Uccidendoli avrei potuto vivere in modo libero. Distaccandomi dalla mia famiglia, avrei potuto vivere in solitaria. Già la sera prima avevo intenzione di farlo, ma non l’ho fatto perché non ero convinto, non me la sentivo”.
Poi la cronaca dell’orrore: “Ieri sera, quando avevo in mano il coltello, ho iniziato e da lì ho deciso di non fermarmi più perché pensavo che sarebbe stato peggio se mi fossi fermato. Io pensavo che una coltellata alla gola sarebbe bastata per uccidere. Ma poi, quando ho visto che non morivano, non mi sono più fermato. Pensavo che non avrebbero sofferto. Non ricordo quante coltellate ho dato a mio fratello, erano tante. Non ricordo se ho colpito prima mio padre o mia madre. Quest’ultima però è stata la prima ad accasciarsi a terra dopo poche coltellate. Io pensavo di inscenare che fosse stata mia madre in modo tale da poter continuare a vivere. Il piano era di uccidere con una coltellata mio fratello e mio padre e poi far finta che mia madre mi avesse aggredito e io mi fossi difeso. Poi, quando ho visto che non morivano, ho cambiato versione, sostenendo che era stato mio padre”.
Tiro parzialmente corretto
Ieri pomeriggio, nel corso del secondo interrogatorio richiesto dalla Procura per chiarire alcuni punti in vista dell’udienza di convalida in programma domattina, Riccardo ha parzialmente corretto il tiro, in particolare sulla questione della premeditazione: ha spiegato che il “pensiero” a cui ha fatto riferimento domenica non era legato a un piano preordinato di morte, ma alla soluzione da trovare per liberarsi da quel “malessere” che lo attanagliava da tempo.
Ha detto di averne vagliate più di una: compresa quella di “andare via di casa” per recarsi in Ucraina a vedere “la sofferenza delle persone”. Non l’ha fatto. Sabato sera c’è stato il compleanno di papà Fabio, che a suo dire non è stato l’episodio scatenante della furia assassina. Poi le partite con amici e fratellino alla Playstation, prima di andare a letto. Lui, però, non si è addormentato. Ha atteso con gli occhi sbarrati per minuti e minuti: “E sono esploso”.