
Il cantautore Alberto Fortis in via Cusani
Milano, 22 maggio 2016 - «Milano è una caravella che ha ripreso il largo». Lo racconta il cantautore Alberto Fortis. «Questa è una città che rifiuta la ghettizzazione e favorisce le comunicazioni e gli incontri».
E lei stesso si è fatto conoscere grazie a Milano con "Il Duomo di notte" che aveva scritto da giovanissimo. «Avevo 19 anni. Una sera mi sono ritrovato seduto sui gradini del Duomo a chiedermi se facevo bene a mollare gli studi di medicina per dedicarmi alla musica. In quel momento la città sembrava aiutarmi nella scelta, le guglie del Duomo nella mia fantasia si trasfiguravano in tante torrette fatte di sabbia. Era come se mi arrivasse un messaggio di arte, di creatività, che dovevo cogliere, lì all'aperto, in mezzo alla strada».
Nato a Domodossola, a Milano ci deve essere arrivato presto? «Sì, mia madre Anna era piemontese, di Cureggio, amava la musica, cantava sempre le canzoni di Sanremo, mentre mio padre faceva il medico ed era di Bergamo. A Milano sono venuto sin da piccolo. A 12-13 anni avevo formato la mia prima band. Finito il liceo mi iscrissi a medicina a Genova, ma dopo tre anni mi trasferii a Milano, che ho sempre amato e che mi ha sempre stimolato artisticamente un po' come New York che considero la sorella maggiore di Milano».
Poi c’è stata la parentesi romana, da lei immortalata in una famosa canzone? «Ero innamorato della scuola cantautorale romana, da De Gregori a Venditti, a Baglioni che con “Questo piccolo grande amore” aveva creato il primo “concept album”. Mi trasferii nella capitale. Fui messo sotto contratto dalla IT, distribuita dalla Rca. Il suo patron era Vincenzo Micocci, ma per me, era il 1976, cominciò un blocco di due anni: non uscivano i miei dischi e non potevo cercare alternative per via dei vincoli contrattuali. Vennero in mio aiuto Alberto Salerno e Mara Maionchi che riuscirono a liberarmi. Io poi scrissi “Milano e Vincenzo” rielaborando la mia esperienza romana. Certo cantavo “Vincenzo io ti sparerò” ma era solo uno sfogo, non ho torto un capello a nessuno. Micocci non mi ha mai querelato e poi abbiamo anche fatto la pace».
Nel testo della canzone cantava “Milano fa di me quello che vuoi”. E infatti poi proprio a Milano pubblicò il suo primo disco nel 1979? «Sì, grazie a un’audizione con Alain Trossat, allora Presidente della Polygram, che mi procurò il duo Salerno-Maionchi. E pensare che le altre majors mi avevano mandato via. Trossat, invece, ebbe per me parole di elogio e di stimolo. Di lì poi ho potuto sviluppare la mia poetica e il mio percorso musicale. E ritornare a Milano mi ha aiutato. Questa città mi appartiene, con i suoi tram, le sue luci, le sue case gialle, la sua voglia di fare».
C’è una via della città a cui si sente più legato? «E’ la via Cusani. Abito nei pressi dal 1979. Andai a vivere nella casa di mia sorella quando lei con la famiglia si trasferirono a Roma. E’ una zona viva, rinata, dopo l’affastellamento di banche che la popolava un po’ di anni fa. Piena di palazzi storici, per me è stata anche il luogo dove ho conosciuto personaggi come Umberto Eco. Di lui ricordo l’affabilità e la semplicità. Lo incrociavo quando usciva dal barbiere di via Rovello. Ricordo anche serate in un bar di via Cusani con Fabio Concato e la Pfm. Questa strada ha vicino il Piccolo Teatro, non è lontana dal Castello, fa parte di un mosaico di piazze, luoghi destinati all’incontro. E’ un po’ l’emblema di Milano, che non favorisce la creazione di ghetti, invece spinge a ritrovarsi in piazza e conoscersi».
E’ questa una delle peculiarità di Milano? «Sì, perché questa città ha favorito politiche che hanno messo in comunicazione le diverse fasce sociali, rendendo abbordabile l’accesso ai teatri, ai musei, ai luoghi d’arte. E’ come se fosse stato creato un nuovo tessuto sociale, più omogeneo e vivo».
E ora ha pubblicato “Con te” (Formica/Sony Music) il suo nuovo Ep, che contiene cinque canzoni e sembra una sintesi della sua vita. «E’ vero perché il video del singolo che dà il titolo a questa raccolta è ambientato proprio nel Collegio Rosmini di Domodossola dove ho studiato da ragazzo. E poi parlo dei miei amori, di una donna conosciuta a Milano da cui forse avrei potuto avere un figlio, ma non è accaduto. Su tutto, però, domina Milano, la mia musa e la compagna della mia vita». di MASSIMILIANO CHIAVARONE mchiavarone@gmail.com