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Gaia De Laurentiis: "Milano? Un baule coi ricordi di un’adolescente cresciuta troppo in fretta"

«Per me Milano è come un baule in cui ho riposto tanti ricordi e che ora penso di riaprire». Lo racconta l’attrice Gaia De Laurentiis di Massimiliano Chiavarone

GAIA DE LAURENTIIS

Milano, 12 aprile 2015 - «Per me Milano è come un baule in cui ho riposto tanti ricordi e che ora penso di riaprire». Lo racconta l’attrice Gaia De Laurentiis.

A quando risalgono queste memorie? «Ai miei 17 anni. Mi trasferii a Milano per frequentare la Scuola di teatro del “Piccolo”. Avevo deciso di fare l’attrice a 14 anni. Mio padre, Carlo Battistoni, era regista. Alle selezioni uscì dalla sala per non condizionare la commissione. Con mia madre Lucia De Laurentiis si sono separati quasi subito».

Come fu il suo primo anno a Milano? «Pesante e impegnativo. Dovetti crescere in fretta e abituarmi a vivere da sola. Il mio primo indirizzo fu un residence in via Giusti 6, che esiste ancora. La scuola era totalizzante, assorbiva quasi tutto il mio tempo. Per giunta allora il quartiere dell’albergo era un po’ degradato. Ci raccomandavano di non uscire la sera. Dopo le 18 non potevamo più fare telefonate in camera. Per chiamare mia madre mi armavo di un borsellino pieno di gettoni, scendevo nella hall e mi mettevo in fila davanti al telefono aspettando il mio turno».

Solo brutti ricordi? «Ma no, anzi cominciai a vivere tre anni intensi e pieni di esperienze meravigliose. Già al secondo anno, Strehler mi arruolò sul palcoscenico per interpretare Margherita da giovane accanto alla grande Giulia Lazzarini nel “Faust” di Goethe. L’ultimo anno noi tutti 31 diplomandi fummo coinvolti nella produzione dell’ “Arlecchino” con Ferruccio Soleri. Furono formative anche le esperienze da spettatrice. Proprio nel 1987 Strehler firmò la regia dello spettacolo inaugurale della Scala, il “Don Giovanni” diretto da Muti. Assistere alle prove di questi due giganti della scena fu un’esperienza incredibile. Tutti i pomeriggi dopo la scuola andavamo alla Scala. Per me quel momento aveva un valore particolare: conoscevo a memoria l’opera di Mozart, perché mia madre che è pianista me la cantava tutte le sere da piccola per farmi addormentare».

E Milano come le sembrava? «Una città severa. Ma passata la crisi degli inizi in cui piangevo al telefono con mia madre, mi acclimatai abbastanza. Dopo mi trasferii in un appartamento con alcune compagne in via Curtatone, in Porta Romana. Fu un periodo molto divertente».

La via milanese che preferisce? «Non dimentico mai il mio imprinting. E' Paolo Sarpi. Ogni volta che torno a Milano cerco di trovare un alloggio nei dintorni. Il quartiere è migliorato, anzi lo considero un esempio di integrazione. In zona è facile incontrare cinesi di diverse estrazioni ed esperienze, dalla madre di famiglia al manager, allo stilista. Tutti convivono e si mescolano ai milanesi che vi risiedono o che ci vengono apposta. Qui si trovano bei negozi, luoghi di incontro, bar e ristoranti, un panorama decisamente attraente rispetto a quanto accade a Roma dove i cinesi vivono per lo più in Piazza Vittorio, ma è un’area degradata, sembra quasi un ghetto. Spero che altre città d'Italia a partire dalla capitale prendano esempio da Milano». 

Comunque subito dopo la scuola del Piccolo disse addio a Milano? «Sì, fu come uno strappo. Una sera del 1991 chiamai Strehler a casa e gli dissi che partivo. Lui mi rispose che facevo una schiocchezza ma se quella era la mia decisione non poteva farci nulla. Non volevo restare parcheggiata al Piccolo in attesa di un ruolo. Volevo misurarmi con altre realtà. Ebbi subito un ingaggio a Roma per una fiction, in realtà poco interessante. Dopo feci il provino per “Target” su Canale 5 e la mia carriera cominciò a delinearsi».

Dopo i successi tv ha poi fatto in prevalenza teatro. Perché? «Non mi sento tagliata per la conduzione. La mia dimensione naturale è la recitazione».

E il baule di ricordi esiste davvero? «Sì. Strehler mi ricercò nel 1994 ancora per “Faust” ma rifiutai perché ero già impegnata. Da Milano sono come fuggita nel 1991. E da allora ho messo in cantina i copioni e tutto il materiale della scuola, perfino lo stereo e la caffettiera che usavo in quegli anni. A Milano ci sono poi stata per lavoro, ma sempre per poco. Ora però ci torno con piacere, perché mi sto riconciliando con la Gaia di allora, con quell’adolescente che era stata costretta a diventare adulta troppo in fretta».

di Massimilano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it