Milano – Bionda, bella, con un fisico da mozzafiato. Ha il ruolo di “Dea bendata”. La sua presenza nello studio è di buon auspicio per i concorrenti, che di solito raddoppiano il montepremi raggiunto. È Paola Caruso, 39 anni, la Bonas di “Avanti un altro!”, il game show in onda da gennaio, tutti i giorni nel preserale su Canale 5.
Paola, è un portafortuna per gli altri…
"Esatto. Sono un jolly. Quando appaio, valgo per due", sorride.
Cosa vuol dire rivestire il ruolo di Bonas?
"È nato con me, 14 anni fa, quando ancora non si sapeva come si sarebbe chiamato e se sarebbe andato in onda il programma, che, poi, è diventato un emblema della tv italiana. Avrà raggiunto un record, superato solo, forse, da “Striscia la notizia”. L’anno scorso, dopo una pausa, per evitare di essere identificata solo come Bonas, ho ripreso il mio ruolo".
Lavora accanto a Paolo Bonolis, un’icona della tv.
"Osservandolo tutti i giorni, ho avuto modo di imparare a fare tv. È molto intelligente e colto. Con la presenza di Luca Laurenti il programma diventa il il top".
Quanto conta la bellezza nella carriera artistica?
"Un po’ più del 50%. Nel campo dello spettacolo, se la bellezza è accompagnata dall’intelligenza, si fa bingo. Se è fine a se stessa, non si va avanti. In mancanza di bell’aspetto, e questo vale soprattutto per gli uomini, bisogna possedere altre doti, come una bella dialettica".
Si è affermata nel mondo dello spettacolo. Da bambina era il suo obiettivo?
"Volevo fare l’egittologa. Crescendo, accantonai l’idea e pensai di diventare veterinaria. Aspiravo ad essere di aiuto a tutti gli animali del mondo. Però, quando li vedevo soffrire, non ero lucida e capii che non avrei potuto intraprendere quella professione. A 15 anni, iniziai a partecipare ai concorsi di bellezza. Studiai anche Giurisprudenza, per seguire le orme di mio padre, ma la mia strada era segnata. A volte è la vita a scegliere per noi".
Rapporto genitori-figli?
"Amo mia madre, ma il papà era il mio tutto: il mio migliore amico, il mio confidente, il mio avvocato, il mio agente. I miei genitori mi hanno insegnato e trasmesso i valori fondamentali della vita: l’onestà, il rispetto, la meritocrazia, il sudare per coronare i propri sogni e crederci sempre".
Da figlia a madre.
"È qualcosa che ti cambia la vita. Essere madre vuol dire essere tutto per qualcun altro, essere responsabile del suo domani, della persona che stai formando e costruendo. Il figlio è una tabula rasa ed è la madre che vi scrive quello che lui sarà. Ovviamente, ognuno ha i suoi istinti ed il proprio carattere, però siamo noi a dare le linee guida, che i figli non conoscono".
Che rapporto ha con il suo bambino?
"Ha sostituito il “mio tutto”. È per lui che mi alzo volentieri la mattina, sono stimolata a lavorare, a dar il meglio di me stessa".
La vita le ha procurato un grande dolore per il bimbo. Un messaggio alle mamme nelle stesse condizioni?
"Mai mollare, perché noi mamme siamo la loro speranza. Bisogna andare sempre avanti. Le difficoltà ci devono stimolare a dare di più di quello che abbiamo già dato. Sto combattendo da due anni per mio figlio. I bambini sono innocenti e non è giusto che soffrano. Non avendo nessun familiare, ho vissuto la sofferenza da sola e sono diventata più forte. Per fortuna ho accanto un compagno paziente e comprensivo, una spalla su cui appoggiarmi e piangere".
Sogni ancora da realizzare?
"Avere la macchina del tempo, per tornare indietro, per non fare esperienze dolorose".
Il rapporto con Milano?
"È la mia città. Ho vissuto la Milano scintillante e fonte di sicurezza di vent’anni fa. Era un sogno, un’utopia. Oggi non vi avverto la stessa atmosfera di un tempo. Sembra tutto più cupo".
Di che colore è la città?
"Adesso un po’ a pois: né bianca, né nera. Dipende da come la si guarda: è Milano, con la sua luce, la sua bellezza, ma con sfumature più ombrose".
Il connubio vecchio-nuovo?
"Racconta la storia di una città, il suo progresso. E a me piace".