ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Io, nipote di Hemingway: "I miei anni a Milano sulle orme di nonno Ernest tra viale Monza e i Navigli"

I ricordi meneghini di John, in Italia per presentare il suo ultimo romanzo: "Belle le serate al Ratanà. Ero a San Siro quando dagli spalti volò lo scooter"

John Patrick Hemingway, nel riquadro il nonno Ernest

John Patrick Hemingway, nel riquadro il nonno Ernest

Milano – "Fuggivo dalla pressione di essere suo figlio, di essere il nipote di Ernest e di dover comprendere tutto il dolore di entrambi. Fu (…) un imperativo silenzioso che gridava: ’Vattene e salvati’". Con questi pensieri John Patrick Hemingway, nipote dello scrittore de “Il vecchio e il mare“, atterra a Milano nel 1984, fuggendo dai "demoni della famiglia" descritti nel suo intenso memoir “Una strana tribù“, uscito nel 2007 (in Italia pubblicato da Marlin).

Nell’opera d’esordio, sincera fino al midollo, John ha il coraggio non solo di rivelare il trasvestitismo del padre Gregory ("entrava nei bar dei cowboy dell’est del Montana, vestito da donna") o la schizofrenia della madre Alice (che lo abbandona a un certo punto, con il fratello e la sorella, in una chiesa) ma anche di ridimensionare lo stereotipo del nonno macho amante-guerriero-cacciatore-pescatore (che non ha avuto comunque modo di conoscere, avendo un anno quando è scomparso).

Una storica foto del Duomo immerso nella nebbia, l’immagine rapì anche Ernest Hemingway che la riportò nel suo “Addio alle Armi“
Una storica foto del Duomo immerso nella nebbia, l’immagine rapì anche Ernest Hemingway che la riportò nel suo “Addio alle Armi“

Il nipote del premio Nobel, nato 64 anni fa a Miami, si trova in questi giorni a Lignano Sabbiadoro, per consegnare i riconoscimenti ai cinque vincitori del premio intestato al grande autore americano e parlare del suo ultimo e quarto libro, appena uscito negli Stati Uniti, “Ron Echeverría. A Miami story“: "È un noir. Diventare scrittore non è stato facile. Ci sono riuscito quando ho capito che non lo sarei mai diventato cercando di imitare mio nonno, ma solo trovando la mia voce. Quando è successo mi sono sentito libero, senza più il fardello di un confronto impossibile".

John Patrick Hemingway, perché a 24 anni è venuto a Milano? Perché c’era già stato il suo celeberrimo nonno ed è uno dei luoghi di “Addio alle armi“?

"In realtà mi ero appena laureato alla Ucla di Los Angeles e c’era un mio amico che insegnava inglese a Milano. Un giorno al telefono mi disse: ’Perché non vieni qui che ti trovo un posto di lavoro?’. Ho colto la palla al balzo, anche se di regole di grammatica non ricordavo un granché... Naturalmente avevo sentito molte volte il racconto su Ernest ricoverato a Milano dopo esser stato ferito alle gambe da una granata austriaca. Una delle prime cose che ho fatto è stata visitare la sua stanza all’ospedale Policlinico, grazie all’intercessione di un amico medico".

Lei dove abitava?

"In un ’buco’ di due locali all’inizio di viale Monza. Non vivevamo nell’agio perché potevamo contare solo sul mio stipendio da docente freelance, mentre la mia prima moglie era stata licenziata dopo esser rimasta incinta. Mi ricordo che il primo inverno, nel 1985, quello della famosa nevicata, mi colse alla sprovvista: la cosa più pesante che avevo nel guardaroba era una giacca di tweed. Ma stavamo benone: avevamo la nostra cerchia di amici bohémien, a cui non importava un fico secco di chi fossi il nipote. Andavamo spesso al Ratanà o sui Navigli: c’era ancora la nebbiolina dentro i locali, si poteva fumare... A San Siro ho visto qualche partita e assistito a scene folli, come il lancio per le gradinate di uno scooter da parte degli ultras. Del Duomo ricordo con commozione la messa di Natale a mezzanotte. Ho un legame speciale con la clinica Melloni dove sono nati i miei due figli: Michael nel 1997 e Jackie nel 2003. Ce ne siamo andati nel 2006 per trasferirci a Malaga. Adesso viviamo ad Atlantic Beach, in Florida".

Nelle sue “memorie di famiglia“ si legge che suo padre non fu "esattamente colui che possiamo dire un eroe hemingwayano", svelando particolari della sua stravagante sessualità e il cambio di genere.

"Era pur sempre mio padre, un uomo molto intelligente che aveva lo stesso sarcasmo del suo di padre. Ma era bipolare, incapace di controllare le sue ossessioni, con tante fragilità e un ’lato oscuro’, come un personaggio di ’Isole nella corrente’, che solo Ernest poteva capire perché è la stessa oscurità che lo avrebbe condotto verso la disperazione e il suicidio. Credo che mio nonno sia stato un eroe fragile, a dispetto del mito machista, e che mio padre - che non si suicidò ma morì da solo, sopportando il dolore il più a lungo possibile - sia stato più forte di quanto molte persone abbiano creduto".