Milano - In Italia da quindici anni, aveva lavorato a Milano come aiuto cuoco, in un ristorante, e poi aveva vissuto e lavorato a Limbiate. Non si era mai integrato, anzi proprio a Milano aveva iniziato il suo percorso di radicalizzazione facendo "proselitismo per l’Isis e sviluppando - come si legge nelle carte che ne dispongono l’arresto - un odio per il popolo italiano nei confronti del quale meditava vendetta: vi ucciderò tutti, vi sgozzerò, tornerò a cercavi, siete dei maiali". Finito in carcere aveva continuato a dichiararsi "soldato dell’Isis" consumando violenze e minacce anche su altri detenuti, esaltando gli attentati più eclatanti, dalle Torri Gemelle a quello a Charlie Hebdo, dicendo di essere un "terrorista, che gli italiani erano degli omosessuali che li avrebbe uccisi tutti tagliandogli la gola, cavandogli gli occhi e facendogli la guerra". Per questo, con le accuse di associazione terroristica e istigazione a delinquere con finalità di terrorismo, Raduan Lafsahi, 35 anni, nato in Marocco, ha ricevuto nel carcere di Paola (Cosenza) un’ordinanza cautelare nelle indagini dei pm Alberto Nobili, capo dell’Antiterrorismo e del pm Alessandro Gobbis.
Il marocchino, stando a quanto ricostruito del pool antiterrorismo e degli agenti del Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria, avrebbe iniziato la sua attività di proselitismo per l’Isis già quando era detenuto a Como (da qui la competenza dell’antiterrorismo milanese in un’indagine in prima battuta scattata a Palermo) tra il 2015 e il 2017. E avrebbe portato avanti la sua opera, con comportamenti violenti nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria oltre che dei detenuti, anche quando era rinchiuso, sempre per reati comuni come spaccio e rapine, a Pavia, Torino, Potenza, Agrigento, Palermo, Catania, Messina, Catanzaro. In tutti questi istituti penitenziari l’uomo "con atteggiamenti intimidatori" avrebbe cercato di convincere gli altri detenuti a radicalizzarsi, perché, come spiegato dagli inquirenti, la sua "fede nel radicalismo islamico lo legittimava, a suo dire, a comportarsi così, come un violento fanatico". Anche rivolgendosi agli agenti della polizia penitenziaria in carcere, l’uomo più volte avrebbe detto che sarebbe tornato a cercarli ed era pronto ad ucciderli". "Allah Akbar, vi ucciderò tutti, appena esco da qua, vi taglio la testa a tutti". È solo una delle tantissime minacce, rivolte agli operatori e agli agenti della polizia penitenziaria, da Raduan Lafsahi.
Nelle 57 pagine dell’ordinanza vengono elencati, uno ad uno, gli "atti di danneggiamento, le aggressioni verbali e fisiche negli istituti di pena" e i suoi "messaggi di minaccia e intimidazione", oltre a quelli di "apologia" dell’Isis e di "istigazione" nei confronti degli altri detenuti. "Io appartengo alla famiglia dell’Isis, vi ammazzo tutti", avrebbe detto sempre in carcere e già nel 2015 e poi ancora, detenuto a Torino nel 2017, "primo o poi vi uccido", rivolto alla Gdf. Un detenuto che era recluso con lui nel 2019 ha raccontato a verbale: "Diceva che dovevamo fare cose contro gli agenti, ci diceva di buttare addosso a loro qualsiasi cosa o di insultarli e creare disordini (...) di essere aggressivi". Secondo gli atti, tra l’altro, l’uomo ha anche una "rete di contatti che ben potrebbero dare realizzazione concreta alla espressione della sua ideologia violenta e estremista". Aveva espresso odio e disprezzo anche nei confronti del pride: "In Marocco questa gente viene uccisa".