
Alessandro Garlaschi al momento dell’arresto
Milano, 15 dicembre 2018 - «Sono felice, non c’è nulla di più dell’ergastolo, auguro a Garlaschi un felice soggiorno a San Vittore». Sono le parole di Stefano Faoro, padre di Jessica, uccisa con 85 coltellate nel febbraio scorso dal tranviere Alessandro Garlaschi, condannato ieri all’ergastolo nel processo abbreviato davanti al gup Alessandra Cecchelli.
«Non lo odio - ha aggiunto Faoro - provo indifferenza per lui, è un uomo inutile». E ancora: «Questa sentenza non mi ridarà mia figlia, non mi ridarà un futuro». Anche la madre della ragazza, Annamaria Natella, ha commentato: «Speravo in questo ergastolo, anche se non mi ridarà indietro mia figlia». Garlaschi ieri mattina, quasi a sorpresa, senza comunicarlo nemmeno al suo difensore, ha voluto essere in Tribunale e davanti al gup invece di rendere dichiarazioni spontanee è rimasto in silenzio. La sua presenza ha provocato molta tensione al punto che la madre di Jessica, Annamaria Natella, non ha retto è si è allontanata dall’aula per poi ritornare quando è stato riportato a San Vittore.
La figura più dignitosa in questa storia orrenda iniziata male e finita nel peggiore dei modi è quella di Andrea Faoro, il fratello di Jessica, che ha pianto in silenzio tutto il tempo dell’attesa della sentenza. Anche lui è stato tolto, piccolissimo, ai genitori e portato in una comunità. Andrea, che ha appena compiuto 18 anni, non si aspettava di trovarsi faccia a faccia con il tranviere che ha ammazzato la sorella. Padre e madre di Jessica non si sono mai rivolti la parola, così come non hanno nemmeno salutato il figlio Andrea. Marito e moglie da anni sono separati, praticamente dalla nascita della sfortunata Jessica. I servizi sociali l’avevano da subito tolta a entrambi, troppi maltrattamenti, troppi litigi. Lo stesso era successo per il figlio più piccolo Andrea. Jessica e il fratello erano stati separati e messi in due comunità diverse. Lei aveva poi vissuto nomade tra varie comunità e spesso sulla strada. Scappava ogni volta, era libera e inquieta, cercava la serenità come un miraggio. Una volta cresciuta, a 15 anni, aveva partorito una bambina, Celeste, data subito in adozione.
«Voglio che abbia una vita migliore della mia», aveva detto, anche lei bambina, allo psicologo della Mangiagalli. All’inferno della sua solitudine disperata si è aggiunto il diavolo: Alessandro Garlaschi, un uomo con molti problemi di relazione sociale e con la mania del sesso. Jessica aveva messo un annuncio, cercava un posto per dormire, in cambio avrebbe fatto le pulizie. In cambio Garlaschi voleva altro, per questo l’ha uccisa. «Ci sono gli estremi per impugnare la sentenza», si è limitata a dire l’avvocato di Garlaschi, Francesca Santini. Il legale ricorrerà in appello in relazione al rigetto da parte del gup Alessandra Cecchelli di concedere il processo in abbreviato condizionato all’esame del consulente di parte, uno psichiatra nominato per accertare le capacità di intendere e volere del killer. Il giudice invece ha accolto in pieno la richiesta del pm Cristiana Roveda, che aveva chiesto per Garlaschi la pena base dell’ergastolo con isolamento diurno. Pena poi ridotta di un terzo per il rito scelto e diventata quindi solo ergastolo.