ANDREA GIANNI
Cronaca

Joussef, morto a 18 anni a San Vittore. In cella nonostante il vizio di mente: “In comunità non c’era posto, ora è troppo tardi”

La detenzione in Libia a 15 anni e l’arrivo in Italia con i piedi legati. Il ragazzo morto carbonizzato non avrebbe dovuto essere dietro le sbarre

Joussef Moktar Loka Barsom, quando era ancora in una comunità del Pavese

Joussef Moktar Loka Barsom, quando era ancora in una comunità del Pavese

Milano – Joussef Moktar Loka Barsom all’età di 15 anni, dopo aver lasciato la sua famiglia in Egitto, era finito in un campo di prigionia in Libia, dove aveva subito violenze. Era arrivato in Italia su un barcone, con mani e piedi legati, senza una rete di parenti ad accoglierlo. Uno dei tanti minori non accompagnati sbarcati sulle coste e finiti a vagare per le strade di Milano, fino ai primi problemi con la giustizia. Nel 2022 il primo arresto per rapina, per aver rubato una bottiglia di vodka in un supermercato e per aver aggredito il vigilante che aveva cercato di bloccarlo. Nel 2023, fuggito da una comunità, aveva strappato il telefono cellulare a una passante perché "voleva chiamare sua mamma". E aveva minacciato con un taglierino alcune persone intervenute per difendere la donna. In entrambi i procedimenti, davanti al Tribunale per i minorenni, era stato assolto per vizio totale di mente, sulla base di una perizia psichiatrica. E nei suoi confronti era stata emessa la misura di sicurezza della detenzione in comunità terapeutica.

A luglio l’ingresso, sempre per una rapina da strada, nel carcere di San Vittore dove la notte fra giovedì e venerdì ha perso la vita, vittima a 18 anni dell’incendio divampato nella cella che condivideva con un altro detenuto, ora indagato per omicidio colposo. "Non avrebbe dovuto stare in carcere – spiega l’avvocato Monica Bonessa, che lo assisteva prima che il ragazzo raggiungesse la maggiore età – ma nelle comunità terapeutiche non c’era posto, ed è finito in lista d’attesa. È stato anche chiesto il ricovero ospedaliero, il suo attuale legale (l’avvocato Marco Ciocchetta, ndr) ha chiesto più volte il trasferimento dal carcere, proprio per la sua condizione clinica incompatibile con il regime carcerario. Ci siamo spesi in tutti i modi perché non rimanesse lì ma purtroppo non è stato fatto nulla, e ora è troppo tardi per intervenire".

Un ragazzo totalmente analfabeta, senza legami in Italia, che "non riusciva a parlare dell’esperienza vissuta in Libia". Era entrato in comunità e si era allontanato più volte, uscendo dai radar e conducendo un’esistenza da senza fissa dimora sulle strade di Milano. Era in carico all’Uonpia, l’unità che si occupa della cura dei disturbi neuropsichiatrici e psicologici di pazienti di età compresa fra 0 e 18 anni.

"Gli era stato diagnosticato un politrauma in un quadro clinico grave – prosegue l’avvocato Bonessa – ed era stato ritenuto socialmente pericoloso per sé e per gli altri. È grave il fatto che una persona con questo profilo sia stata lasciata in carcere". Joussef Moktar Loka Barsom è rimasto vittima di un incendio causato dalla combustione di un materasso che era stato portato in bagno. Ad attirare l’attenzione degli agenti sono state le grida del compagno di cella, rimasto completamente illeso e ora indagato per omicidio colposo, per svolgere tutti gli accertamenti necessari nell’ambito dell’inchiesta aperta dal pm Carlo Scalas. Non si esclude che il rogo appiccato al materasso potesse essere una forma di protesta, compiuta da entrambi e finita in tragedia. Una dinamica ancora da ricostruire, attraverso i rilievi della polizia scientifica e anche la testimonianza del compagno di cella, ascoltato dagli inquirenti.