BARBARA CALDEROLA
Cronaca

Don Burgio e i 25 anni di Kayros. “Il mio metodo? Fare domanda ed evitare le affermazioni”.

La comunità di Vimodrone celebra il traguardo con una mostra che vuole essere un omaggio fotografico del rifugio nato nel 2000

Tre degli scatti creati per la mostra che celebra i 25 anni di Kayros

Tre degli scatti creati per la mostra che celebra i 25 anni di Kayros

Vimodrone (Milano), 12 aprile 2025 – Don Claudio Burgio nei suoi ragazzi non ha mai visto solo i criminali raccontati dalle cronache, condannati dalle sentenze dei tribunali o arrestati dalle forze dell’ordine. Non li ha mai considerati persone senza speranza.

La mostra aiuterà anche il pubblico ad andare oltre?

“È quello che speriamo. Dietro ai fatti di cronaca ci sono storie dimenticate. Le foto riprendono i giovani negli ultimi tempi, nel loro percorso all’interno della comunità al centro di belle esperienze che li aiutano a ritrovare il senso”.

È un diario per immagini?

“Esatto. Alcuni loro volti da maranza li rappresentano benissimo. Qui, raccontiamo una normalità riconquistata. Il cambio di rotta su coordinate che sembrano ineludibili. Ma non è così”.

Davanti a venticinque anni di esperienza con i ragazzi violenti, sa dire cosa ci sia all’origine del loro comportamento?

“Non controllano le emozioni perché non le conoscono. E quindi non sanno verbalizzarle. Una situazione peggiorata dall’uso di droghe e adesso di psicofarmaci: è l’ultima tendenza. Medicine che stordiscono”.

Come si aiutano?

“Ascoltandoli. Senza dare tutta la colpa agli adulti, la verità è che molte volte anche loro non sanno cosa fare. Parlo di quelli che ci sono, naturalmente”.

Un consiglio?

“Bisogna partire dai loro problemi e non dai nostri discorsi. Fare molte domande ed evitare le affermazioni. È questa la chiave per conoscerli”.

È il suo metodo?

“Sì. I miei ragazzi hanno grandi fragilità. Parlano solo all’indicativo presente. Non usano mai il congiuntivo, vedono il futuro come una minaccia. Vivono ‘qui e ora’, un lungo presente vuoto”.

E il rapporto con gli adulti?

“Per loro siamo deprimenti. E in effetti ci lamentiamo sempre. Ci guardano e dicono: se questa è la vita, meglio godersela finché si può”.

Come si cambia strada?

“Accordando fiducia anche quando non la meritano. E soprattutto evitando di cucirgli addosso un abito che non sentono proprio. È meglio assecondarli in qualche progetto improbabile, che calargliene uno sulla testa. Il dialogo e le prospettive li aiutano a guardare avanti. Ai genitori direi di incentivare i loro sogni per aiutarli ad appassionarsi alla vita e non sentire più il fascino del male come unica via”.

Dino e Gabriel sono i ciceroni della mostra.

“Due storie diverse. Oggi, Dino, che è stato da noi, allena i ragazzi di San Siro, lavora. Gabriel, invece, arriva dalla movida di Rimini”.