di Andrea Gianni
"Dopo la sentenza mi sento liberato, perché questo capitolo della mia vita si è concluso e ora posso guardare avanti. Il mio sogno? Una vita normale, un lavoro, un appartamento tutto mio, anche se dai nonni sto bene". Nicolò Maja, il 23enne che ambiva a diventare pilota d’aereo, sta seguendo un lungo percorso di riabilitazione e nei prossimi mesi affronterà l’intervento decisivo, per la ricostruzione della calotta cranica. Ieri ha assistito alla lettura della sentenza della Corte d’Assise di Busto Arisizio, che ha condannato all’ergastolo il padre, Alessandro. I giudici hanno escluso l’aggravante della crudeltà riconoscendo solo quella del legame parentale, e hanno stabilito un risarcimento di oltre un milione e mezzo di euro per le parti civili, tra cui 900mila euro a Nicolò per i danni fisici subiti. Il 23enne è l’unico sopravvissuto alla strage, la notte fra 3 e il 4 maggio 2022, quando l’interior designer milanese ha massacrato a colpi di trapano e martello la figlia 16enne Giulia e la moglie Stefania Pivetta, riducendo in fin di vita il primogenito, nella villetta di famiglia a Samarate, nel Varesotto. Per la prima volta Nicolò si è presentato in aula senza sedia a rotelle, camminando a fatica ma in autonomia. Sogna una "vita normale", una battaglia che passa anche attraverso gesti simbolici: è entrato nello staff dirigenziale di una società sportiva, la Cedratese Calcio, presieduta dal suo legale, l’avvocato Stefano Bettinelli, dove gioca anche il cuginetto. Alessandro Maja, cresciuto a Milano, gestiva lo studio Maja Group, in zona Navigli, che progettava spazi nel campo del “Food&Beverage“. Lo studio ha realizzato anche spazi all’interno dell’aeroporto di Malpensa e uno nella stazione Cadorna. Sulla pagina Facebook dell’azienda, Alessandro si descriveva come "fulcro e fondatore. cresciuto tra i caffè milanesi. Vulcano di idee originali e stravaganti". Un professionista che, a maggio dell’anno scorso, ha massacrato la famiglia per motivi mai chiariti. Ha parlato di problemi sul lavoro, forse ingigantiti dalla sua mente, e di un rapporto difficile con la moglie.
Nicolò, perché ha scelto di indossare in aula la t-shirt con le foto di Giulia e Stefania?
"Perché le voglio portare con me, come ho sempre fatto anche nelle altre udienze. Quando mio padre è entrato in aula, prima della sentenza, l’ho guardato e ho indicato la maglietta. Lui ha mandato un bacio, non so se rivolto a me o a loro".
Più volte ha chiesto una spiegazione sul suo gesto.
"Più avanti, quando sarà opportuno, vorrei incontrarlo e parlargli. Gli ho scritto un mese e mezzo fa chiedendo una motivazione del suo gesto e se per lui la nostra vita valesse qualcosa. Ha risposto che i miei ragionamenti non fanno una piega, mi ha chiesto come procede la riabilitazione, ma non ha dato una spiegazione precisa e forse non la darà mai".
Potrebbe arrivare a perdonarlo?
"Penso che non potrà esserci perdono, perché quello che ha fatto lo porterò dentro per tutta la vita, ma ho bisogno di capire Forse lui si è pentito, ma neanche con il pensiero avrebbe dovuto fare tutto questo".
È stato condannato all’ergastolo. Una sentenza giusta?
"È il minimo, per quello che ha fatto, anche se non ci sarà mai una giustizia che potrà riportare in vita mia madre e mia sorella".
Qual è il suo sogno?
"Una vita normale, un lavoro nel settore aeronautico, un appartamento tutto mio. L’autonomia e l’indipendenza. Adesso riesco anche a camminare, ho abbandonato la carrozzina".