A casa, con la promessa di rimanerci per sempre. Sul viale incorniciato dalle siepi alte e fitte, sfila il carro funebre di Silvio Berlusconi. Le moto della polizia accompagnano il corteo. Un rapido applauso della folla. Sulla ghiaia del cortile davanti alla facciata ocra coperta di fiori lo scricchiolio degli pneumatici è il rumore del lutto, sbigottito e disorientato della fine del rito. Il van scuro con a bordo i figli segue rapido. Fuori, a distanza, la gente e i cronisti, davanti ai quali si chiude il doppio battente di metallo.
Il fondatore di Mediaset è ancora nella villa, da dove si sposterà oggi per essere cremato a Valenza Po, nell’Alessandrino, per poi farvi ritorno definitivamente ed essere tumulato nell’antica cappella del complesso. La tomba del Cavaliere sarà dunque qui, nel convento benedettino trasformato in dimora di delizia che cinquant’anni fa l’allora imprenditore edile comprò dall’ultima erede dei Casati Stampa per mezzo miliardo pagato in azioni. Qui aveva posto la propria corte, qui ancora risiedono ufficialmente Marta Fascina e il figlio Pier Silvio.
Qui, nel tempietto tardo-barocco dagli intonaci settecenteschi che profumano di antico, dominato dal Giudizio universale di Giulio Cesare Procaccini, riposano da pochi mesi le ceneri di papà Luigi e mamma Rosa Bossi, che erano prima nella tomba al cimitero monumentale di Milano e che sono stati traslati da poco proprio per volontà del patriarca. Segno evidente che la famiglia manterrà qui le proprie radici, il baricentro attorno al quale gestire la non facile successione, aziendale e personale, del leader appena scomparso. Difficile pensare alla vendita di un luogo così simbolico, carico di ricordi, che accoglierà anche le spoglie dell’ex premier. A stabilirlo è stato lui stesso: sono queste le prime volontà che trapelano dopo l’aggravarsi della malattia e la morte, lunedì, al San Raffaele. Un disegno accarezzato da tempo, anche se compiuto in modo differente dal previsto. Non sarà possibile, e non è stata chiesta nessuna deroga, custodire le ceneri del presidente nel grande mausoleo di travertino – “La volta celeste“ – creato per lui da Pietro Cascella. Lo scultore iniziò i lavori nel 1990 e li terminò nel 1993. Un sarcofago bianco per Berlusconi, intorno, sulle pareti un fregio con pane, frutta e catene, simbolo dei vincoli familiari. E trentasei posti, destinati al "cerchio dell’amicizia". Fedele Confalonieri, Adriano Galliani, Marcello Dell’Utri.
Sul sacrario si posarono increduli gli occhi di Michail Gorbacëv e della moglie Raissa. Su quei muri si costruirono favole e miti. Per i detrattori, un esempio di stile "assiro-milanese". Silvio ci portò, poco prima della discesa in campo e della lite, definitiva, anche Indro Montanelli, a cui offrì un posto accanto al proprio. "Domine, non sum dignus", disse il giornalista prima di sgattaiolare via.
Oggi la grande opera di pietra candida resterà un monumento al Cav, ma senza il suo corpo. Sarà quell’urna accolta nell’antica cappella accanto ai genitori a sancire un legame inscindibile della dinastia con Arcore e la sua villa. Ben più delle catene scolpite nel marmo da Cascella.