"Un danno irreparabile, una tragedia sociale". È ciò che pensa dei social Marco Bellavia, protagonista di quella tv dei ragazzi che ha intrattenuto negli anni ’90, e fino all’alba del nuovo millennio, milioni di bambini. L’ex conduttore di “Bim Bum Bam” lancia un appello accorato sul tema della salute mentale. E si racconta, tra rabbia e speranza.
Che ricordi ha di Milano ai tempi della sua infanzia?
"Da piccolo abitavo in Bande Nere, da ragazzi giravamo tranquilli in motorino. I nostri genitori erano sereni nel lasciarci in strada. Si stava bene, ora non è più così. Sì, ogni tanto alcuni ragazzini rompevano un po’ le scatole, ma nulla a che vedere con le bande di oggi…"
Negli anni del liceo si aprì la strada verso lo spettacolo.
"Iniziò con le pubblicità in tv: a 14 anni il primo spot, a 17 il mio primo book fotografico. Terminati gli studi iniziai a partecipare a casting e provini. Uno dei miei primi lavori fu come testimonial del primo computer dell’era moderna, il vecchio Macintosh Apple. Uno spot bellissimo, in pellicola; era un lavoro complicato, di ore e ore. Poi sempre più spot, sino a diventare una professione".
La svolta nel 1986, il provino con Cristina d’Avena per “Love me Licia”. Sette serie in 4 anni, 36 puntate ogni 6 mesi.
"Ero il più “ricercato“ d’Italia. In bici attraversavo la città per andare ai casting, mi prendevano sempre perché bucavo il video. Interruppi gli studi universitari in Geologia e iniziai a lavorare. Guadagnavo bene ma era molto faticoso, mi presi una pausa".
Dal 1990 al 2001 la tv dei ragazzi, partendo da “Bim Bum Bam” con Paolo Bonolis.
"Ho imparato un mestiere. Ho fatto l’autore, l’attore, il presentatore; ho cresciuto generazioni di ragazzi italiani, che dopo la scuola finivano i compiti e guardavano la tv. Davamo buoni consigli. Plasmavamo una popolazione in crescita insegnando le buone maniere. Non avevamo una scaletta, ma le parolacce erano bandite. Io per un semplice “imbecille” sono stato licenziato per 2 giorni... L’unico che si poteva permettere di mandare a quel paese Bonolis era Uan, il cane pupazzo".
Nel nuovo millennio la tv dei ragazzi è sparita. Oggi i passatempi dei giovani sono i social. Cosa ne pensa?
"È accaduto un danno irreparabile, una tragedia sociale. You-tube, Tik Tok… Sono state rovinate diverse generazioni di giovani, ora gli stranieri controllano le menti dei nostri ragazzi".
Quale programma tv per i ragazzi proporrebbe oggi?
"Purtroppo nessuno… Non si possono rimettere insieme i pezzi. I ragazzi non guardano più la tv, e la tv non è più quella di una volta; ma lo vede cosa c’è ora in onda? Poi si lamentano della violenza, ma nessuno parla delle malattie mentali. Il 30% della società è depressa e senza poterlo capire ti trovi accanto persone malate. Nessuno dice che non è colpa del signore che ha ucciso, ma del sistema che ha fatto ammalare le menti..."
La salute mentale, tema sollevato dalla sua partecipazione al “Grande Fratello...
"In trasmissione sono stato giudicato in maniera forte. Poi ho fatto qualche ospitata passando come il depresso di turno".
“Depresso?” è il titolo del suo libro.
"Racconto la mia carriera, il mio percorso da mental coach per aiutare le persone e del perché non ho più lavorato, l’esperienza del “Grande Fratello” e il mio risveglio. La seconda edizione che uscirà a brevissimo avrà il titolo “The Press – o”".
Come è nata l’idea di scriverlo?
"Quando non riuscivo a trovare la strada giusta ho iniziato a leggere molto. Prima vivevo il mondo in modo superficiale, poi anche la presenza di mio figlio Filippo mi ha portato all’introspezione. Sono arrivato a leggere “Il potere della Kabbalah” in cui l’autore fornisce delle regole per affrontare la vita, è stata la chiave per ritrovare la strada. Da qui il libro".
Progetti futuri?
"Sto preparando uno spettacolo teatrale per tornare a sorridere, una tournée musicale con dj-set anni ’80-‘90 dei cartoni animati, un libro della collana “C’era una volta tu” dove racconto le storie di personaggi... Punto anche ad un programma sulla salute mentale".
Cosa direbbe ai giovani oggi? "Leggete! Perché nessuno lo fa più. Non perché si è obbligati dalla scuola, ma per capire e imparare".