
Cristina Nuti, 51 anni
Milano – È stata la prima donna italiana ed europea con sclerosi multipla ad avere terminato un “Ironman“. È la seconda al mondo a esserci riuscita. Dopo avere compiuto l’impresa nel 2022 a Klagenfurt, in Austria, ha fatto il bis ad Amburgo. Si prepara al tris? Quel che è certo è che Cristina Nuti, 51enne che vive tra San Donato Milanese e San Giuliano, scenderà in pista e sarà la madrina di CorriBicocca, l’iniziativa per runner (e non solo) che l’università ha voluto dedicare quest’anno all’Aism, Associazione Italiana Sclerosi Multipla: i proventi serviranno a sostenerne i progetti. Già campionessa italiana di ParaTriathlon e Duathlon, si è laureata in lingue alla Iulm; dopo due master allo Ied, a maggio dello scorso anno ha conquistato la seconda laurea in Scienze della Comunicazione di massa e nuovi media a Bergamo.
Intanto corre.
"Ho iniziato tra il 2015 e il 2016 per curiosità e divertimento: corri di qui, corri di là, ho capito non solo che mi piaceva, ma che mi faceva sentire molto meglio. Ne beneficiavano la circolazione, il fisico, la mente".
Da lì alla prima maratona è stato un attimo.
"La prima in assoluto a Milano nel 2017. Poi in due anni ne ho finite nove. Nel 2018, mentre stavo preparando quelle di Berlino, Roma e pure una terza ecco l’amore a prima vista: Triathlon. Due miei amici si erano già buttati. Mi son detta: tra un anno voglio essere qui".
Promessa mantenuta?
"Sì, anche se il nuoto non faceva parte delle mie skills (sorride): ho iniziato un corso per imparare a resistere in acqua. A giugno 2019 ero nelle acque dell’Idroscalo, pieno di mostri: le alghe mi si arrotolavano ai polsi. A un certo punto ho proseguito di dorso, ma sono riuscita ad arrivare alla fine. Non ho lasciato le maratone, ma mi sono dedicata anima e cuore a questo sport. Quando ci hanno chiusi per Covid mi allenavo una volta alla settimana in piscina e a casa con i rulli. Poi nel 2021 è arrivato il primo Olimpico".
E ha spostato più in là l’asticella...
"E se tentassi un mezzo Ironman? Mi son detta. I miei amici mi davano della matta. Ma ho cominciato a pensare a un Ironman full, per portare un messaggio di speranza. Non è uno scherzo, sia chiaro. Ma sono arrivata al traguardo zampettante e felice".
Prima donna d’Italia e d’Europa con la sclerosi multipla a esserci riuscita.
"E mica lo sapevo. Mi sono messa alla disperata ricerca di qualcuno che avesse provato prima di me, per chiedere consigli. Ho trovato solo uomini e sono nate belle amicizie. Di donne nessuna traccia. Dopo l’impresa ho conosciuto una signora che mi aveva preceduta negli Stati Uniti. È stato bellissimo confrontarmi con lei. Nel frattempo hanno cominciato a scrivermi. La soddisfazione più grande è far capire i benefici del Triathlon per questa malattia: sollecita più muscolature, le fa lavorare bene insieme".
Quando è arrivata la diagnosi?
"Nel 2008, di colpo, ho cominciato a fare fatica a camminare, poi ho perso la sensibilità delle gambe. Ero con mia mamma: mi ha sempre sostenuto e insegnato a essere determinata e tosta. Appena uscita dall’ospedale sono tornata subito sul tapis roulant per cercare di riprendere tonicità, per rimettermi in piedi. Avevo difficoltà incredibili, ma allenandomi stavo sempre meglio. Per anni non ho mai detto a nessuno della malattia: volevo dimostrare a me stessa che ero quella di prima, anzi meglio. Non lo dissi nemmeno in azienda. Leggevo e cercavo più informazioni possibili per capire contro chi stavo combattendo. Prendo il toro per le corna".
Quando ha deciso di raccontarsi?
"Nel 2019 ho conosciuto il team di Alex Zanardi, sono nella loro squadra paralimpica. Persone fantastiche, che approcciano disabilità durissime ma sono affamate di vita. Da loro ho imparato tanto. Perché nascondermi se mostrando la mia malattia posso aiutare gli altri? Sono uscita allo scoperto. Anche al lavoro mi occupavo già di focus group su empowerment femminile, diversità. E cercavo di fare correre tutti. Col primo articolo postato dal mio manager hanno capito il perché. Le mie paure si sono sbriciolate. È un percorso, come nelle maratone: ciascuno ha i suoi tempi".
Cosa le lascia ogni impresa?
"Grande consapevolezza e un serbatoio di emozioni alle quali attingere nei momenti più duri. Io sono zuccona e mi prendo in giro: me l’ha insegnato mamma. Vedendomi correre spero che qualcuno ora dica: “Se ce l’ha fatta la Nuti posso farcela anch’io“. Può essere un Ironman, una corsa di 5 chilometri o anche alzarsi per scendere qualche scalino. L’importante è provarci".