CHIARA ZENNARO
Cronaca

Ermanno Leo: "La malattia dell’umanità si affronta con intelligenza"

Ermanno Leo, una vita all’Istituto tumori, riceve l’Ambrogino d’oro. "Il cancro è stato trovato anche nelle mummie egizie. E non è debellato"

di Chiara Zennaro

"In tutte le cose della vita, ignorare il passato, sia che sia da cambiare o da migliorare, non va bene. Non dico di imitare il passato, ma di migliorarlo". Ermanno Leo, per oltre trent’anni medico chirurgo presso l’Istituto nazionale della cura e dello studio dei tumori, è specializzato nel cancro al colon-retto e oggi svolge la sua attività come libero professionista. Autore di più di 250 pubblicazioni, ha scritto un libro che verrà presto pubblicato, "Il cancro non è un affare", sulla sua vita professionale. Riceve nel 2003 dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la Medaglia d’oro al merito della sanità pubblica, e nel 2006 l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce. A lui si deve l’istituzione della Struttura complessa di Chirurgia del colon-retto, unica in Italia, e ha istituito master in Chirurgia colo-rettale. Nel 1997 ha fondato Areco (Associazione per la ricerca europea in chirurgia oncologica) onlus, di cui è presidente. Per il suo impegno nella ricerca della cura della malattia, il 7 dicembre riceverà l’Ambrogino d’oro, il riconoscimento per i cittadini e le organizzazioni milanesi che dimostrano impegno civico.

Cosa significa per lei questo riconoscimento?

"Io ringrazio Milano per come mi ha accolto e mi ha dato la possibilità di lavorare all’Istituto nazionale dei tumori, dove ho prestato servizio fino a pochissimo tempo fa. Milano è una città estremamente importante per l’Italia che offre moltissime opportunità. Quello che posso dire è solo: “Grazie Milano“.

A che punto siamo nella ricerca sul cancro e come viene percepito il paziente?

"Il cancro non è una malattia debellata, checché se ne dica. È stata trovata nelle mummie egizie, non è la malattia del secolo, ma dell’umanità. I casi di tumore all’intestino in Italia sono 50.000 ogni anno, 18.000 le morti. È una malattia che merita di essere anticipata. Quando ero all’Istituto nazionale dei tumori, insieme alla mia équipe, abbiamo trovato un modo per salvaguardare l’integrità fisica e psicologica dei pazienti che venivano operati, mettendo a punto una tecnica di chirurgia conservativa che prevedeva la ricostruzione dell’ampolla rettale. Non solo abbiamo cambiato la chirurgia, ma con questa tecnica abbiamo ridotto le recidive dal 30% all’8%. E non ci siamo fermati qui. Studiando i casi della malattia che andavano bene e quelli che andavano male abbiamo scoperto l’esistenza della survivina, una proteina contro la quale abbiamo messo a punto un vaccino. Il mio errore è stato quello di non brevettare il vaccino, per metterlo a disposizione il più presto possibile, ma proprio per questo non è stato poi più riprodotto".

Qual è il futuro della ricerca?

"Purtroppo siamo nelle mani delle industrie. Ora si parla di intelligenza artificiale applicata alla medicina: forse manca quella personale. Le tecnologie possono aiutare ma bisogna affidarsi ai medici. Quando i pazienti mi chiedono: “Ma lei mi opera con i buchi?“, io rispondo sempre: “Io la opero con il cervello“. Faccio sempre l’esempio del televisore: i televisori di oggi possono essere super tecnologici, ma quello che conta è il programma che viene trasmesso".