NICOLA PALMA
Cronaca

La mantide di Parabiago e la roulette della “squadra omicidi: “Non sono sicuro sia Ravasio…”. Poi l’auto punta dritta sul ciclista

Il palo non era sicuro dell’identificazione del bersaglio. “Eppure l’azione è partita lo stesso”. Dubbi sulla figlia della mandante: “Anche lei ha aiutato a fare sparire la macchina distrutta”

Adilma Pereira Carneiro e Fabio Ravasio

Adilma Pereira Carneiro e Fabio Ravasio

Parabiago (Milano), 26 agosto 2024 – “A me pareva che i miei complici mancassero di capacità organizzative, mi pareva un’organizzazione approssimativa”. Sono le 9.46 del 23 agosto: Mirko Piazza ha appena ripreso a parlare dopo una breve pausa davanti al pm della Procura di Busto Arsizio, Ciro Caramore, e ai carabinieri della Compagnia di Legnano. Ha deciso di confessare le sue responsabilità nell’omicidio di Fabio Ravasio, investito due settimane prima a Parabiago: lui, per sua stessa ammissione, ha svolto il ruolo di “palo”, assoldato dalla moglie del cinquantaduenne Adilma Pereira Carneiro in cambio di un appartamento in una cascina da ristrutturare. Quella frase sulle presunte carenze della sgangherata ma fidatissima banda messa insieme dalla mantide di Parabiago fa da prologo alla ricostruzione dell’assassinio camuffato da incidente stradale con omissione di soccorso. Una ricostruzione che fotografa un piano a dir poco disordinato e un’esecuzione altrettanto confusa, non abbastanza purtroppo da scongiurare la morte del ciclista investito.

I rilievi dopo l'investimento di Ravasio la sera del 9 agosto. All'inizio si era pensato a un "pirata" della strada
I rilievi dopo l'investimento di Ravasio la sera del 9 agosto. All'inizio si era pensato a un "pirata" della strada

La roulette russa sulla 149

Sia le dichiarazioni di Piazza che quelle dell’amico Fabio Lavezzo, fidanzato di una delle figlie di Adilma, fanno luce su un particolare agghiacciante, uno dei tanti di questa storia spaventosa: nessuno dei due “osservatori” piazzati lungo il tragitto ha riconosciuto con certezza la bici di Ravasio al suo passaggio vicino al cimitero di Casorezzo. Ecco cosa ha riferito Lavezzo: “Dissi che avevo visto passare un ciclista, ma che non avevo idea se fosse effettivamente Ravasio”. E Piazza: “Voglio far presente che io in realtà non vidi Ravasio passare, perché non arrivò dalla strada che stava di fronte a me, ma mi passò molto probabilmente dietro, su uno dei vialetti che si trovano nel parchetto. Di fatto non lo vidi”. Tradotto: l’Opel Corsa killer si è mossa quasi al buio, senza che il conducente Igor Benedito né il “regista” Massimo Ferretti avessero la certezza che in sella ci fosse proprio il cinquantaduenne, poi scaraventata sul guard rail.

L’alibi del cimitero

Il primo a vuotare il sacco nella notte tra giovedì e venerdì – “forse anche a causa di una crisi di coscienza”, annota il pm nel provvedimento di fermo – è stato Lavezzo, che vive con la compagna nello stabile di via delle Orchidee a Parabiago dove i militari hanno ritrovato la macchina pirata. Nel corso dell’interrogatorio, il trentaduenne milanese, che ha riferito di aver conosciuto una delle figlie di Adilma quattro mesi fa su Facebook, ha spiegato di essersi spostato a un certo punto nel parcheggio del cimitero di Casorezzo. Il motivo? “Non ero molto convinto dalla situazione. Avevo visto che c’erano delle telecamere”. Da lì l’idea di crearsi un alibi: “Decisi di mettermi lì, pensando di poter essere ripreso. Se fosse successo qualcosa di grave, volevo dimostrare che io non ero presente sul luogo del fatto di reato ed ero lontano dalla visuale della strada”.

Le ombre sulla figlia

Sia Lavezzo che Piazza hanno tirato in ballo in qualche modo A., una delle figlie di Carneiro, proprio quella che convive con Lavezzo. Quest’ultimo ha riferito agli investigatori che subito dopo l’investimento l’Opel Corsa col parabrezza è stata posteggiata nel cortile dell’edificio in cui risiede. “Chi era presente?”, la domanda. “C’era la mia ragazza. Era disperata. Non era a conoscenza, per quanto ne sappia io, delle intenzioni della madre. Io non ho più voluto sapere nulla”. In un secondo momento, l’utilitaria con la targa contraffatta è nascosta in un box, dietro alcuni mobili accatastati apposta. Ed è in questo frangente, stando a quanto messo a verbale da Piazza, che sarebbe entrata in scena la figlia della brasiliana, non si sa se e quanto consapevole di quello che era successo: “Eravamo andati lì tutti: io, Massimo (Ferretti, ndr), Adilma, Marcello (Trifone, ndr), Igor (Benedito, ndr), A. e Fabio (Lavezzo, ndr). Anche A. aveva materialmente contribuito all’occultamento, mettendo delle cose sulla “barriera””.