
Paolo Aurelio Errante Parrino, 77 anni, cugino di Matteo Messina Denaro, è stato arrestato dai carabinieri il 27 gennaio
"Quanto ai gravi indizi di partecipazione, con ruolo apicale, al reato associativo del ricorrente, il Tribunale del riesame ha chiarito – con motivazione scevra da fratture razionali – le ragioni per le quali ha ritenuto che Errante Parrino, già condannato nel 1997 per aver fatto parte dell’associazione per delinquere denominata Cosa nostra e di un’associazione volta al narcotraffico, aveva svolto il ruolo di raccordo tra il sistema mafioso lombardo e Matteo Messina Denaro, latitante fino al 2023".
È il timbro della Cassazione sulla decisione del Riesame di ribaltare l’ordinanza del gip Tommaso Perna e disporre il carcere anche per Paolo Aurelio Errante Parrino, cugino acquisito della "primula rossa" di Castelvetrano e presunto esponente di spicco dell’Hydra a tre teste scoperta dalla pm della Dda Alessandra Cerreti e dai carabinieri del Nucleo investigativo guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino. Proprio sulla base di quel verdetto, di cui nelle ultime ore sono state rese note le motivazioni, il settantasettenne è stato arrestato dai militari il 27 gennaio scorso (dopo due giorni di ricerche) all’ospedale Fornaroli di Magenta.
Anche per lui, come per gli altri 142 imputati, il 20 maggio inizierà il processo nell’aula bunker del carcere di Opera. Un processo che dovrà accertare l’esistenza in Lombardia di un’associazione a delinquere costituita da affiliati a Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra, che, "autorizzati dalle rispettive organizzazioni di appartenenza", avrebbero dato vita a un "consorzio" criminale dotato di "una struttura orizzontale e di una cassa comune" e in grado di sprigionare autonomamente "mafiosità" e di generare profitti illeciti con narcotraffico, estorsioni e infiltrazioni nell’economia legale. In questo scenario, Errante Parrino avrebbe recitato un ruolo di primo piano. Come? In primo luogo, avrebbe messo a disposizione del gruppo "gli uffici della Arredamentinox" e il "bar Las Vegas" di Abbiategrasso "per lo svolgimento di summit nel corso dei quali si discuteva delle attività illecite con gli altri associati, cui egli stesso ha reiteratamente partecipato". E poi, avrebbe "impartito precise direttive volte alla risoluzione di controversie tra gli associati, svolgendo la funzione di mediatore per conto della famiglia trapanese dei Pace nella controversia con Gioacchino Amico, a fronte della quale attività avrebbe percepito un compenso mensile di circa 2mila euro".
A proposito di Amico, pure nel suo caso la Suprema Corte ha ritenuto corretta la scelta del Riesame di recepire le tesi dell’Antimafia, che attribuisce al trentanovenne di Canicattì il ruolo di "reggente di Giancarlo Vestiti, capo del gruppo romano, per conto di Vincenzo Senese (figlio del boss della camorra capitolina Michele detto ’o Pazzo, ndr)". Non basta: gli inquirenti ritengono che Amico abbia collaborato "con Giuseppe Fidanzati, appartenente alla mafia palermitana, coinvolgendo Rosi (Massimo, ndr) – capo del gruppo calabrese di Lonate Pozzolo – e altri indagati vicini alla locale di ’ndrangheta nel traffico illecito di sostanze stupefacenti, nonché con il calabrese Romeo nelle attività illecite relative all’ecobonus del 110%".
In alcune conversazioni, il siciliano viene soprannominato "la banca", a indicare la sua capacità economica. Una capacità economica che la difesa ha fatto risalire a "una cospicua vincita al “Gratta e vinci”, unita ai proventi dell’autonoleggio". Insomma, nulla a che vedere con la "bacinella" per i fondi da versare ai detenuti. Una tesi rispedita al mittente dai giudici, che hanno invece definito Amico "il collante tra i tre gruppi che formano il cosiddetto sistema lombardo".