di Marianna Vazzana
MILANO
"Quando avevo 4 anni sono rimasto stregato dalla magia del teatro dei burattini e ho deciso che da grande sarei diventato un burattinaio". Un sogno che con il tempo non è sbiadito, anzi è diventato realtà. Perché oggi Valerio Sebastian Saccà, della Compagnia Burattini Aldrighi, originario di Sesto San Giovanni, fa rivivere quella magia che nei suoi occhi non ha mai smesso di brillare. A 37 anni è l’unico burattinaio professionista di Milano; suo il merito di aver riportato in vita “Meneghino“, la maschera della commedia popolare simbolo di Milano. Non solo: scrive storie e allestisce spettacoli, "ora ne ho 14 in repertorio". L’ultimo: “Evviva il panettone“, altro simbolo di Milano per eccellenza. Le sue maschere e i suoi show si possono ammirare dentro “La casa di Meneghino“, diventata il suo regno, nel complesso di Cascina Cuccagna a Porta Romana.
Chi è il Meneghino?
"Un personaggio creato dal poeta milanese Carlo Maria Maggi nel 1695. Meneghino Pecenna, o Domenichino Pettina, era il buon popolano venuto in città dalla campagna per fare il “servitore della domenica“, da qui il nome Domenichino e, quindi, Meneghino, per le famiglie borghesi. Gran lavoratore e amante della buona cucina, Meneghino è la maschera iconica e identitaria della città di Milano. Per ricreare questa maschera, che era sparita da tempo, ho raccolto ed esaminato più di 400 documenti, tra testi, manifesti e cartoline d’epoca. Cercavo non solo la fedeltà estetica ma anche di ridargli la sua anima. Mette in riga i prepotenti, ama Milano, prega la Madonnina, adora l’ossobuco e la cotoletta ma soprattutto è coraggioso e mette in mostra la sua umanità".
Un esempio per noi, oggi?
"Assolutamente. Meneghino è un eroe che mostra le sue fragilità, non le nasconde. Ed è coraggioso non perché non ha paura ma perché la affronta. Tra le sue caratteristiche c’è anche quella di essere bonario e allegro. Non dispera mai nelle situazioni difficili".
Com’è stata la sua formazione?
"Innanzitutto ho frequentato la Scuola del Fumetto in via Savona, dove ho imparato a disegnare, a colorare, a scrivere sceneggiature e a creare personaggi. Quando scolpisco una testa, io ho già in mente la voce e la timbrica di un determinato personaggio, e in quella direzione procedo. Ho avuto tre maestri: Daniele Cortesi, che è il burattinaio che mi conquistò quel giorno, da bambino, Giacomo Onofrio di Brescia e Natale Panaro di Castelletto d’Erro, in Piemonte".
Come crea i suoi burattini?
"Parto sempre da un blocco di legno, con la sega nastro creo il profilo, poi scolpisco con le sgorbie. Rifinisco con la carta vetrata e la cementite, poi dipingo con i colori a olio. A quel punto scelgo i tessuti per gli abiti, che vengono poi confezionati da sarte. Poi scrivo gli spettacoli, li imparo a memoria e mi esibisco. Gli spettatori vedono solo i burattini sulla ribalta. Io sono nascosto sotto, dentro la “baracca“: infilo la mano dentro i personaggi e li muovo nei momenti giusti. Sono tutti in fila attorno a me, ordinati, a testa in giù".
Nell’ultima storia inventata entra in gioco il panettone?
"Sì (oggi l’ultima replica dell’anno, alle 16 in via Cascina Cuccagna 2/4, ndr). La principessa Diamantina è ammalata ma il re non sa che cosa abbia. Quindi chiama a corte dei saggi sperando possano guarirla. Meneghino pensa di avere la soluzione... E il panettone è un colpo di scena".
Chi sono i suoi spettatori?
"Ai miei spettacoli vengono bambini (consiglio dai 4 anni in su), famiglie, ma adulti anche da soli. Di ogni età. Il mio non è un teatro “per bambini“ ma un teatro popolare, quello di cui io mi sono innamorato da piccolo. Parlo in italiano con cadenza milanese, “italianizzando“ il dialetto in modo che tutti possano capire. Una volta gli spettacoli erano in dialetto per avvicinare il popolo, oggi il dialetto sarebbe per una élite".
Da quanto tempo è a Cascina Cuccagna?
"Ho affittato uno spazio dallo scorso marzo. Mi trovo molto bene: è un luogo della vecchia Milano, di socialità, in pieno centro. Che resiste".