
Nel 1994 l’approdo in via Watteau, nel 2005 ecco l’ufficiale giudiziario ma lo sgombero non avviene perché si teme per l’ordine pubblico. Pisapia cercherà di regolarizzarlo, Sala si allinea. Ma non cambierà nulla.
e Nicola Palma
Una sentenza che fa tornare d’attualità un argomento che da tempo era sparito dall’agenda politica. Una sentenza che rimette sotto i riflettori il nodo irrisolto del Leoncavallo, proprio nel giorno in cui Fratelli d’Italia ha presentato una mozione al Pirellone per avviare una verifica sulla "regolarità" dei centri sociali lombardi e chiudere quelli che risultano "in violazione delle leggi e delle normative". Per motivare la decisione di condannare il Ministero dell’Interno a pagare 3 milioni di euro di risarcimento ai proprietari dei capannoni di via Watteau occupati dal 1994, i giudici della Corte d’Appello del Tribunale civile hanno ripercorso la storia del Leonka e delle riunioni del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica che si sono tenute a Palazzo Diotti negli ultimi vent’anni. A cominciare da quella del 28 settembre 2005, durante la quale l’allora prefetto Bruno Ferrante osserva che "lo sgombero forzoso del Leoncavallo potrebbe creare verosimilmente problemi di ordine pubblico". Quattro anni dopo, il 10 giugno 2009, il successore Gianvalerio Lombardi "dà notizia che per la vicenda dello sgombero dell’ex centro sociale è giunta l’ennesima richiesta di supporto della forza pubblica da parte della società proprietaria per consentire l’accesso all’immobile di via Watteau. Se ne prende atto, rilevando peraltro, su confome avviso dei presenti, che permangono irrisolte le problematiche che hanno finora impedito il buon esito della procedura di rilascio coattivo dell’immobile". Il 2 ottobre 2010, la situazione cambia: l’operazione sfratto diventa possibile, a patto di studiare "un piano di misure da adottarsi a cura della proprietà per la messa in sicurezza dell’immobile nell’immediatezza delle operazioni di sgombero". Il via libera è datato 18 gennaio 2011: "In vista del programmato accesso nello stabile da parte dell’ufficiale giudiziario, si dispone il concorso delle forze di polizia nelle operazioni di sgombero dello stabile, sussistendo le condizioni favorevoli sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica nel capoluogo". Il 16 marzo, però, arriva la frenata: il "coordinamento delle forze di polizia" prende atto "dell’emersione di un margine per un avvicinamento delle singole posizioni delle parti, che potrebbero ragionevolmente acconsentire, in tale ottica, a un rinvio “lungo“ dell’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario".
Meno di tre mesi dopo, Giuliano Pisapia vince le elezioni Comunali. E già in estate si comincia a parlare della volontà della nuova Giunta arancione di regolarizzare il Leonka. Un anno più tardi, a settembre del 2012, il piano per lo storico riconoscimento del centro sociale milanese pare in dirittura d’arrivo. La formula individuata è quella della permuta di immobili: nell’idea della Giunta, il Comune avrebbe rilevato il capannone di via Watteau dai fratelli Cabassi lasciando loro, in cambio, il complesso delle ex scuole di via Zama, in disuso dai primi anni ’90, e la palazzina al 18 di via Trivulzio, scandita da alloggi mai ultimati. La permuta, si disse allora, avrebbe permesso di realizzare nell’area di via Zama housing sociale, una biblioteca di quartiere e spazi per l’associazionismo. Il piano, però, non convince una parte della maggioranza di centrosinistra in Consiglio comunale – o, meglio, una parte del Pd – e incontra qualche perplessità anche all’interno dello stesso esecutivo. Lucia De Cesaris, chiamata in Giunta al posto della vicesindaco Maria Grazia Guida, fa presente che il capannone di via Watteau non può essere assegnato al Leoncavallo senza un bando pubblico e, quindi, aperto a tutti. Si teme, poi, l’effetto precedente: vero è che il Leoncavallo ha una storia imparagonabile a quella di tutti gli altri movimenti della galassia antagonista, ma altri militanti di altri centri sociali avrebbero potuto chiedere al Comune di ricevere lo stesso trattamento. Non a caso nel 2014 l’amministrazione arancione istituisce il Tavolo per gli spazi sociali: il proposito è proprio quello di evitare di limitarsi a varare una soluzione ad hoc per il Leoncavallo e trovare, invece, una prassi comune e generale per il riconoscimento e la regolarizzazione di tutte quelle realtà e tutti quei movimenti che alle rivendicazioni politiche unisconon attività utili o sociali nei quartieri. Il quinquennio di Pisapia passerà agli archivi senza alcuna regolarizzazione del Leoncavallo e senza alcuna riqualificazione del complesso di via Zama. Il Tavolo per gli spazi sociali avrà vita breve e improduttiva. Nel 2016, però, il centrosinistra vince di nuovo le elezioni Comunali e Giuseppe Sala, successore di Pisapia, assicura di voler proseguire sulla via della regolarizzazione perché "il Leoncavallo è parte della città". Ma non è più successo nulla. Fino a ieri.