JESSICA CASTAGLIUOLO
Cronaca

La storia e il coraggio di Fatima: "Lottiamo insieme per i diritti. Anche qui non c’è parità piena"

La scuola, il lavoro conquistato, poi la fuga dai talebani. Oggi studia in Bocconi

Fatima Haidari, 26 anni, è arrivata da rifugiata in Italia tre anni fa

Fatima Haidari, 26 anni, è arrivata da rifugiata in Italia tre anni fa

Una primula gialla su ogni tavolino. Alla parete, le parole di Elena Cecchettin: "Viene spesso detto “tutti gli uomini“. Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini". Alla casa delle donne di Milano, in via Marsala, di diritti si parla ogni giorno, ma l’8 marzo è un’occasione in più per ricordare che la lotta non è finita. La parola dari "Faghan" è difficile da tradurre in italiano. È "gemito", pianto di dolore ma anche urlo di protesta. È tratto da un verso della poetessa afghana Nadia Anjuman, ammazzata di botte dal marito nel 2005. Si intitola così il cortometraggio di Emanuela Zuccalà che scorre sul proiettore e che mette insieme - su uno sfondo di desolazione e bellezza - storie di donne afghane che vivevano una vita come quella di tutti e che poi, con l’arrivo del regime talebano nel 2021, per il solo fatto di essere femmine, non hanno potuto viverla più. Tra loro c’è Fatima Haidari. È arrivata da rifugiata in Italia tre anni fa. Oggi studia alla Bocconi e tra due giorni ha un esame. Non ha voluto però perdersi questo incontro: "Le mura di casa sono ancora una prigione per troppe donne" e parlarne per lei è una missione. Ha 26 anni, è già riuscita a fare un mucchio di cose fuori dal comune: imparare l’alfabeto scrivendo le lettere sulla sabbia con dei bastoncini, comprare i primi libri di scuola grazie alla madre, che a Herat vendeva oggetti di artigianato per raccattare qualche soldo. Convincere la famiglia a darle il permesso per andare all’università, diventare la prima guida turistica donna in Afghanistan. Tutto questo finché "il mio Paese non è tramontato", dice, ed è diventata bersaglio dei gruppi estremisti al potere.

"Morire in silenzio è la cosa peggiore che possa succedere a un essere umano. Se dobbiamo farlo, dobbiamo morire urlando. Bisogna piangere forte". Risponde così se le si chiede cosa ha imparato nella sua giovane vita. Se invece le si domanda da chi ha tratto ispirazione per resistere, allora il pensiero, e gli occhi, volano lontano: "Le donne afghane, tutte, a partire dalle mie sorelle. Da mia madre. Hanno dovuto combattere e subire delle scelte. Sono costrette al silenzio, non raccontano quello che subiscono ogni giorno".

L’Italia sembrava da subito un mondo diverso: "Quando sono arrivata qui, e ho visto anche solo le donne guidare un’auto, avrei voluto abbracciarle tutte", dice, con quel tono di voce che sembra oscillare tra la gioia di vivere e la fatica di ogni conquista. Ma guardare più da vicino, è diverso: "Ho capito presto che anche qui non c’è una completa parità. Mi ha molto colpito l’omicidio di Giulia Cecchettin e che anche qui si parli di femminicidio. Penso poi al fatto che molte donne non lavorano per occuparsi della famiglia, o ancora che, quando lavorano, guadagnano spesso meno degli uomini. Questo mi ha fatto capire che dobbiamo essere unite tutte, lottare insieme, non importa se siamo afghane o italiane, siamo donne". Grazia Longoni, membro del consiglio direttivo della Casa delle Donne di Milano, aggiunge: "Abbiamo una scuola di italiano con circa novanta donne migranti, quasi tutte rifugiate. Ci sembrava quindi giusto dedicare questa mattinata alle battaglie delle donne nel mondo. Poi è sotto gli occhi di tutti che anche in Italia continuiamo ad avere problemi. La nostra battaglia continua, tanto che negli ultimi anni c’è stato anche un recupero della parola “femminismo“ che fino a 15 anni fa non era quasi pronunciabile. Oggi invece le giovani la usano con disinvoltura, come usano la parola “patriarcato“, che sembrava retaggio di un tempo lontanissimo. Credo che ci sia un ruscello carsico che continua a scorrere dagli anni Settanta a oggi". Un ruscello che non può permettersi secche, perché, come si legge all’inizio del cortometraggio di Zuccalà: "La storia può ripetersi, come un ciclo, sempre uguale a se stessa".

Jessica Castagliuolo